Edizione Italiana
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    Anton Francesco Grazzini

    Novella Prima

    SILVESTRO RISDOMINI credendosi portare al Maestro l’orina della moglie ammalata, gli porta quella della fante sana; e per commestione del medico, usando seco il matrimonio, guarisce; e alla serva, che bisogno ne aveva, da marito.


    Non sono però molti anni passati, che in Firenze fu un valentissimo uomo medica, che si chiamò maestro Mingo; il quale già sendo vecchio, e dalle gotte tormentato, si stava in casa, e per suo passatempo scriveva, a utilità delle persone, qualche volta alcune ricette. Ora accadde che a un suo compare, chiamato Salvestro Risdomimi, si ammalò la moglie; onde colui avendo molti medici provato, e niuno avendone né saputo né potuto, non che guarire, conoscere pure la infermità di colei, se ne andò finalmente al suo maestro Mingo, e gli contò della moglie frutta la malattia; e di più gli disse, come tutti i medici che l’avevano veduta, ne avevano fatta mala giustificanza. Perlochè il Maestro, dolente, disse al compare che molto gliene incresceva, e che avesse pacienza; perché il dolore della morte delle mogli era come le percosse del gomito, che benché elle dolgano forte, passano via spacciatamente; e che non si sbigottisse, che non gliene era per mancare. Ma Salvestro, come colui che fuor di modo amava e cara teneva la donna, lo pregava pure che le desse e ordinasse qualche rimedio. Il medico rispondendo diceva: se io potessi pure venire a vederla, qualche riparo le faremmo noi; nondimeno arrecami domattina il segno; e se io vedrò di poterle giovare, non mancherò dell’obbligo mio e fattosi raccontare appunto, e informatosi meglio della malattia di colei, gli disse che quella orina serbasse e arrecassegli, che dalle diece ore in là fosse fatta dalla donna, sendo allora là all’ultimo di gennajo. Della qual cosa molto ringraziato il Maestro, si partì contento Salvestro, e tornossene a casa; e la sera medesima poich’egli ebbe cenato, disse alla moglie, come il segno di lei voleva la mattina vegnente portare al compare; e lo fece intendere, come bisognava quello dalle diece ore in là.

    La donna, volenterosa di guarire, ne fu contenta, sì che Salvestro impose a una fanticella giovane che essi avevano, di ventidue anni o in circa, che stesse intorno a ciò avvertita e in orecchi; e acconciolle uno orivolo di quelli col destatojo, e le comandò che tosto sentito il romore badasse, e la prima orina che la donna facesse, mettesse e guardasse dentro un orinale; e andatosi in un’altra camera al letto, la lasciò colla moglie in guardia, acciocchè, se nulla ancora le bisognasse, le potesse acconciamente servire, come era solita fare. Venne in tanto l’ora disputata, e l’orivolo avendo fatto il bisogno, la fante, che Sandra aveva nome, vegliando tanto stette, che a colei venne voglia di orinare; e raccoltola diligentemente, la mise nell’orinale, il quale rasente una cassa, e gittossi sopra il lettuccio a dormire. Ma venutone il giorno, ed ella risentitasi, per dare l’orina al padrone, se egli la dimandasse, ne andò ratta dove posto lo aveva; e trovato, non sapendo come, l’orinale, forse da’ topi o dalla gatta sospinto, che aveva dato la volta, e tutta s’era rovesciata l’orina, dolente e paurosa rimase, e non sapendo che scusa si pigliare, temendo di Salvestro, che era, anzichè, no, subito un pochetto e bizzarro, deliberò, per non aver del romore o forse qualche picchiata, mettervi dentro la sua; ed avendone voglia, pisciandovi, empiè mezzo quell’orinale. Nè stette guari, che Salvestro venne, domandandole l’orina; ed ella, come avete inteso, in cambio di quella della moglie inferma, la sua gli porse dentro l’orinale.

    Colui, non pensando altro, sotto il mantello messoselo, ne andò volando al medico suo compare; il quale, veggendo il segno, meraviglioso e ammirato ne rimase, a Salvestro dicendo: costei non mi pare che abbia male alcuno. Colui diceva pure: così noll’avess’ella, la meschina non si muove di letto. Il medico, non veggendo in quella orina segno alcuno di malattia, al compare rivoltosi, disse, allegando certe sue ragioni e autorità di Avicenna, che l’altra mattina voleva rivedere il segno; e così restati, se ne andò Salvestro alle sue faccende, lasciato il maestro di non poca meraviglia pieno. La sera intanto ne venne, e Salvestro tornato a casa, e cenato, alla serva medesima, ordinato il tutto, diede la cura, e andossene a dormire. Ma poi, scoccato l’orivolo, e venuto il tempo, e colei chiesto da orinare, e la Sandra riposto avendola, si ritornò a dormire; e a buon’ora risentitasi, fra sè stessa pensando, l’entrò paura addosso, dubitando che il padrone nel portare l’orina della moglie ammalata, ella non fosse dal medico conosciuta, e si pentiva forte di averla il primo tratto scambiata; temendo poi che Salvestro, adiratosi, non le facesse confessare il cacio, onde poi la cacciasse via, o le desse qualche buona tentennata. Sicchè risolutasi, prese per miglior partito di gittar via quella, e di ripisciarvi un’altra volta; e levatasi prestamente, come disegnato aveva, così fece.

    Ella era di Casentino, e come voi sapete, ne ventidue anni, bassa, ma grossa della persona, e compressa e alquanto brunetta; le carni aveva fresche e sode, ma nel viso colorita e accesa; gli occhi erano grossi, e piuttosto che no lagrimosi e in fuora; di maniera che pareva che schizzar le volessero dalla testa, e che gittassero fuoco; uno scorzone da macinare a raccolta, e un cavallotto, vi so dire, da cavare altrui d’ogni fango. Così venutante l’ora, e Salvestro avendo chiesto e da lei avuto l’orinale, se ne andò al medico; il quale, via più che prima meraviglioso, assai quella orina guardata e riguardata, nè veggendo altro dentrovi, che segno di caldezza, a Salvestro, sorridendo, disse: Compare, dimmi per tua fè, quant’è che non usasti con mogliata il matrimonio? Colui, pensando che il maestro lo burlasse, rispose: voi avete buon tempo. Ma il medico pure ridomandandonelo, rispose essere più di due mesi. Sta bene, disse il maestro; e sopra ciò pensato alquanto, si dispose di volere la terza volta rivedere l’orina, e gli disse: Compare, rallegrati, che io penso di aver conosciuto la infermità della Comare; ond’io ho speranza agevolmente e con prestezza rendertela sana; sì che domattina ritorna medesimamente col segno, e io ti ordinerò quello che tu debba fare.

    Partissi allegro Salvestro, e alla moglie portò la buona novella, lietamente aspettando e con disio il giorno vegnente, per intendere il modo di ritornar sana la sua cara consorte. Così la sera, cenato che egli ebbe, stette alquanto intorno alla donna, confortandola, e dipoi, commesso il medesimo alla serva, all’usanza se ne andò al letto a riposare. La Sandra, avendo il cervello a partito, perchè non avesse a uscire scandolo, poichè due volte aveva fatto lo errore, seguitò di farlo la terza, e a Salvestro la mattina diede la sua orina in vece a quella della moglie; il quale, quanto più tosto potette, al maestro la portò. Ma il medico, pura e chiara veggendola al solito, se gli rivolse ridendo, e disse: vien qua, Salvestro, a te conviene, se brami, come par tu che mostri, la salute di mogliata, usare seco il coito; perciocchè altro non veggio in lei di male, se non soverchio di caldezza, nè altra via o modo ci è per sanarla, che il congiungersi; a che fare ti conforto, quanto più tosto meglio, sforzandoti di servirla gagliardamente; e se questo non giova, fa conto che ella sia spacciata. Salvestro, intera fede prestando al medico, promesse di fare il bisogno, e lasciollo col nome di Dio, aspettando con grandissimo desiderio la notte, nella quale la salute della donna procacciar doveva, e ricoverarle la smarrita sanità.

    Venne finalmente la sera; ed egli, fatto ordinar benissimo da cena, volle in presenza della moglie mangiare, avendo fatto intorno al letto accomodare un quadro, e con un suo compagno, uomo piacevole e faceto, motteggiando sempre, cenò allegramente. Alla fine dato licenza al compagno, e alla fante detto che se ne andasse a dormire in camera sua, e solo rimasto, si cominciò in presenza della donna a spogliare, burlando e ridendo tuttavia. La moglie, meravigliosa non meno che timida, attendeva pure la fine di quello che far volesse; il quale, restato come Dio lo fece, se le coricò a lato, e cominciò di fatto, toccandola e stringendola, ad abbracciarla e a baciarla. A cui la donna, quasi sbigottita, ciò veggendo e sentendo, disse: ohimè! Salvestro, e che vuol dir questo? sareste voi mai uscito del cervello? che è ciò che voi volete fare? Colui, rispondendo, diceva pure: sta ferma, non dubitare, pazzerella: io procaccio tuttavia di guarirti. E volle, questo detto, acconciarsi, per salirle addosso; ma colei, alzando la voce, prese a dire: ohimè! traditore, a questo modo volete ammazzarmi? e non volete avere pacienza tanto, che da sè stessa mi occida la malattia, che sarà tosto, senza volere affrettarmi con sì strano mezzo la morte? Come! rispose Salvestro, io cerco mantenerti in vita, anima mia dolce: questa è la medicina al tuo male, così mi ha commesso il compar nostro maestro Mingo, che sai quanto egli sia intendente fra gli altri medici; e però non dubitare: sta cheta e salda, a fine che prestamente guarita, esca di questo letto. Colei, gridando pure e scuotendosi, non rifinava di riprenderlo e di garrirlo, ma sendo debolissima, dalla forza e da’ preghi del marito si lasciò finalmente vincere, di modochè il santo matrimonio adempierono; e la donna, avendo propostosi di stare immobile, come se di marmo fosse stata, non potette far poi che non si dimenasse; e ben le parve, come il marito la strinse, che le mettesse, come gli aveva detto, la salute in corpo; perchè ’n un tratto sentì dileguarsi il rincrescimento e l’affanno della febbre, la gravezza e la debolezza del capo, e la lassezza e la stanchezza delle membra, e tornar tutta scarica e leggiera, e col seme generativo gittare insieme la zinghinaja e tutto il malore; e così amenduni, fornito il primo scontro, alquanto presero riposo e lena. Ma Salvestro, avendo a mente le parole del medico, si messe in ordine per fare il secondo assalto; dopo il quale non molto stette, che il terzo menarono a fine, sì che stanchi a dormire si recarono; e la donna, che venti notti innanzi non aveva mai potuto chiudere occhi, s’addormentò incontanente, e per otto ore non si svegliò mai, nè si sarebbe svegliata ancora, se non che frugandola il marito, al quarto assalto dierono la stretta, che già era dì alto; e la donna si raddormentò, e dormì poscia per infino a terza.

    Salvestro, levatosi, le portò al letto di sua mano confezione e trebbiano, come se ella fosse stata di parto; la quale più mangiò e più di voglia la mattina, che per lo addietro non aveva fatto in otto giorni; di che lietissimo il marito ne andò al medico, e ogni cosa gli raccontò per filo e per segno; onde il medico ne rimase consolato, e confortollo che seguitasse. Salvestro, da lui partitosi, poichè egli ebbe recato a fine certe sue faccende, in su l’ora se ne tornò a desinare; ed avendo fatto cuocere un buono e grasso cappone, colla sua buona e cara moglie desinò allegramente; la quale, riavuto il gusto, quella volta mangiò da sana, e bevve da malata. La sera poi, molto ben cenato, se ne andò col suo marito al letto, non più dolente e paurosa, ma lieta e sicura della medicina. Così Salvestro all’usato medicandola, e facendole fare buona vita, per non tenervi più a tedio, in quattro o in sei giorni si uscì del letto, e in meno di dieci ritornò fresca e colorita, e quanto mai per lo addietro fosse stata, sana e bella. Della qual cosa col marito insieme contentissima, ringraziava Dio, e la buona avvertenza e il vero conoscimento del medico suo compare, che di quasi morta, renduto le aveva con sì dolce mezzo la prospera sanità.

    In questo mentre, venutone il carnovale, accadde che una sera dopo cena, sendo Silvestro e la moglie al fuoco, lieti e pien di festa cianciando e ridendo, la Sandra veduto che lo scambio dell’orina era stato la salvezza della padrona ed il conforto del marito, ogni cosa, come era seguito, particolarmente raccontò loro; di che meravigliandosi, tanto risero la sera, intorno a ciò pensando, che dolevano loro gli occhi. E Salvestro, non fu prima giorno, che ne andò a casa il medico, e gli narrò ordinatamente il tutto; il quale, stupito e quasi fuori di sè, considerava il bel caso che era nato; e come non volendo, anzi quasi per nuocere alla donna, colei fosse stata cagione di giovarle, e veramente della sanità sua; e avendo riso un pezzo anch’egli, a ognuno che a casa gli capitava, come per un miracolo raccontava quella piacevolezza: e nelle sue ricette scrisse che a tutte le malattie delle donne, che fossero da’ sedici infino a’ cinquanta anni, quando non si trovasse altro rimedio, e che da’ medici fossero state disfidate, il coito essere atto e potentissimo a renderle in breve tempo sane, adducendo questo per esempio, che nelle sue cure gli era intervenuto. E a Salvestro fece intendere che la sua fante, che di tanto bene gli era stata cagione, bisogno aveva grandissimo di marito; e che senza, potrebbe agevolmente incorrere in qualche strana e pericolosa infermità. Onde Salvestro, per ristorarla del benefizio ricevuto, la diede per moglie a uno figliastro di un suo lavoratore da San Masrtin la Palma, giovane di prima barba, vi so dire, che le scosse la polvere, e le ritrovò le congiunture.


    Le Cene




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