Library / Literary Works |
Antonio Ghislanzoni
Volere è potere
Novella.
Un tal Stucchi Tommaso
Del päesel di Arona
Avea letto per caso
Un libro del Lessona,
Dove, con molti esempi
Dei vecchi e nuovi tempi,
Chiaro si fa vedere
Che volere è potere.
— «Volere!.... è presto fatto....
Se tanto il voler giova,
Converrebbe esser matto
Per non tentar la prova....
Io non domando onori,
Non titoli o favori,
Di gloria io non mi picco,
Ma.... voglio farmi ricco.
Or più non mi imbarazza
La scelta del mestiere,
Apro uno studio in piazza,
Mi intitolo banchiere;
Se ad iniziar la banca
Il capital mi manca,
Poichè basta volerlo,
Sò come posso averlo.
Ciò detto, il buon Tommaso
Si recò da un notaro,
Franco gli espose il caso,
Gli domandò il denaro;
Ma quei, con faccia bieca;
«Che mi da in ipoteca?
— Nulla — Nulla!.... ho capito
Non posso!.... affar finito.»
— Non può?.... Lei mi canzona!
Tal scusa più non va:
Non ha letto il Lessona?
Lo voglia e lo potrà»
L’altro lo guarda in viso
Con cinico sorriso,
E per uscir di imbroglio,
Conclude: ebben, non voglio!
Ricorse l’indomani
Agli amici, ai parenti;
N’ebbe discorsi vani,
Promesse, complimenti,
Consigli che mordevano,
Sorrisi che parevano
Dirgli: qui tutto avrete
Fuor quello che volete.
E sorse un dubbio in lui:
«Che della vita al gioco
Anche il volere altrui
Debba contare un poco?
Dalle prove che ho fatto
Parrebbe.... Eh! via!.... son matto!
Che colpa ci ha il Lessona
S’io son nato ad Arona?
«Nei piccoli paësi
Piccole le risorse....
Qui gli uomini scortesi,
Qui stitiche le borse;
E poi, nemo propheta
In patria — è storia vieta;
Per ritentar le prove
Convien ch’io vada altrove.
Solo, a piedi, di notte,
Partì senza un quattrino,
E colle scarpe rotte
Un giorno entrò in Torino
Sclamando: «qui ho voluto
Venire, ed ho potuto;
Volendolo, mi pare,
Ora potrò mangiare.»
Infatti, appena scorta
L’insegna di un trattore,
Maso varcò la porta
Con passo da signore;
Sedette, fu servito,
E sazio l’appetito,
Pensò: volevo un pranzo,
L’ottenni, e n’ho d’avanzo.
Ma quando il cameriere
Venne a portargli il conto,
Gli parve che al volere
Fosse il poter men pronto —
Il garzonetto attese
Alquanto, e poi gli chiese:
Vuol altro? — Ora, mio caro,
Vorrei.... — Cosa? — Il denaro.
— Denaro! — Certamente....
Tu sai che le parole
Oggi non valgon niente,
E per pagar ci vuole
Denaro; or, come averlo
Potrei senza volerlo?....
— Mi paghi, faccia presto!
— Voglio il denar per questo!
Ed ecco, mentre dura
La strana discussione,
Due guardie di questura
Si avanzan col padrone
— Sentiamo!.... cos’è stato?....
Tommaso in tuon pacato
Risponde: «del diverbio
Fu origine un.... proverbio.»
«Tutto si può, volendo,
Lo dice il testo, ed io
Agli altri esempi intendo
Unir l’esempio mio —
Venir volli a Torino
E feci a piè il cammino,
Qui volli entrar, entrai;
Volli pranzar, pranzai.»
— Ed ora? — Or non avendo
Denaro.... è naturale....
Ch’io voglia.... — Intendo! intendo!
Ci segua!.... Al Criminale
Verrà stanotte a cena;
La casa è tutta piena
Di gente che ha voluto
E mai non ha potuto.
In carcere il tapino
Fu trattenuto un mese;
Quindi, lasciò Torino,
Tornò nel suo paëse,
Dove il volere altrui
Fu tanto avverso a lui,
Che, stanco di soffrire,
Gridò: voglio morire!
Ai gridi disperati
Fortuna non è sorda;
Tra ferri e cenci usati
Trovò un chiodo e una corda:
Confisse a un muro il chiodo,
Fece alla corda un nodo,
Pose nel cappio il collo.
E diè l’estremo crollo.
Così dal mondo è uscito
Il povero Tommaso;
E forse egli è partito
Convinto e persuäso
Che quand’un, per disfarsi
Dai guai, vuole appiccarsi,
Non sempre, ma però
Qualche volta lo può.