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Carlo Michelstaedter
Risveglio
Giaccio fra l’erbe
sulla schiena del monte, e beve il sole
il mio corpo che il vento m’accarezza,
e sfiorano il mio capo i fiori e l’erbe
ch’agita il vento
e lo sciame rombante degl’insetti.
Delle rondini il volo affaccendato
segna di curve rotte il cielo azzurro,
e trae nell’alto vasti cerchi il largo
volo de’ falchi...
Vita?! Vita?! Qui l’erbe, qui la terra,
qui il vento, qui gli uccelli, qui gl’insetti,
e pur fra questi sente vede gode,
sta sotto il vento a farsi vellicare,
sta sotto il sole a suggere il calore,
sta sotto il cielo sulla buona terra
questo ch’io chiamo io, ma ch’io non sono.
No, non son questo corpo, queste membra
prostrate qui fra l’erbe sulla terra,
piu ch’io non sia gl’insetti o l’erbe o i fiori,
o i falchi su nell’aria o il vento o il sole.
Io son solo, lontano, io son diverso.
Altro sole, altro vento, e più superbo
volo per altri cieli, è la mia vita....
Ma ora qui che aspetto? e la mia vita
perchè non vive, perchè non avviene?
Che è questa luce, che è questo calore,
questo ronzar confuso, questa terra,
questo cielo che incombe? M’è straniero
l’aspetto d’ogni cosa, m’è nemica
questa natura! Basta! voglio uscire
da questa trama d’incubi! la vita!
la mia vita! il mio sole!
Ma pel cielo
montan le nubi su dall’orizzonte,
già lambiscono il sole, già alla terra
invidiano la luce ed il calore.
Un brivido percorre la natura,
e rigido mi corre per le membra
al soffiare del vento... Ma che faccio
schiacciato sulla terra qui fra l’erbe?
Ora mi levo, chè ora ho un fine certo,
ora ho freddo, ora ho fame, ora m’affretto,
ora so la mia vita
— chè la stessa ignoranza m’è sapere.
La natura inimica ora m’è cara
che mi darà riparo e nutrimento
— ora vado a ronzar come gl’insetti.
Sul San Valentin, Giugno 1910.