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Clemente Bondi
Lamento pastorale
ELEGIA
Ecco deserto è il lido, e l’aer fosco,
E al duol secreto e al flebile lamento
Parmi opportuno il solitario bosco.
Tra questi orror non suona umano accento;
Sol delle piante le pieghevol cime
Agita mormorando un picciol vento.
Qui lice almeno alle dolenti rime,
E al trattenuto duol sciogliere il freno,
Che largo pianto da questi occhi esprime.
L’occulta doglia, ch’io nascondo in seno,
Non è chi scopra: se silenzio e fede
Serban le piante e i muti sassi almeno.
Or già sull’orizonte il giorno riede,
E dell’erta montagna al dubbio raggio
La nuda cima biancheggiar si vede.
Oh conscio Sol!... ma quale in suo linguaggio
Pietose note musico usignolo
Medita ascoso nel vicino faggio?
Di ramo in ramo il breve e spesso volo
Spicca con l’inquïeta ala smarrita,
E il canto tempra alle querele e al duolo.
O tu, cui forse amor della rapita
Tua compagna fedele, o forse il pianto,
E il mio lamento a lagrimare invita,
Vieni, ed accorda il tuo pietoso canto
Ai mesti versi, che del plettro mio
Andrò tentando sulle corde intanto.
Alternerem tu dolci note, ed io
I carmi, che sovente in questo lido
Odon le Ninfe e delle selve il Dio.
Ma tu non m’odi, e un interrotto grido
Moduli gorgogliando, e il guardo fiso
Pur tieni intorno errando al vuoto nido.
Ah ch’io t’intendo, e nel mio duol ravviso
Quello onde accusi l’empia man crudele,
Che t’ha furtiva dal tuo ben diviso.
Cessa, misero il pianto e le querele,
Che se rapace cacciator tel tolse,
Lungi egli è sì, ma vive ancor fedele.
40Mentre a te il volo l’infelice sciolse,
Come il guidava l’amoroso ardore,
Occulta rete insidïosa il colse.
Si ricordò del tuo fedele amore
In quel momento, e più che de’ suoi danni
Ebbe forse pietà del tuo dolore.
Ahi! che poscia al meschino i pinti vanni
Tarpò forbice cruda, o in carcer stretto
Pasce or di pianto i suoi secreti affanni.
Nè il suo dolor consola o il cibo eletto,
Che gentil man gli porge, o l’onda pura,
Che in vetro ei beve, o il pinto aurato tetto.
Te quando nasce il Sol, te quando oscura
Notte il ciel copre, in flebil mormorio
Chiama piagnendo, e di te solo ei cura.
Sempre ha presente il bosco amico e il rio;
Che già compagni v’accoglieva, e quello,
In cui teco posò, nido natío.
Che se mai canto di vicino augello
Egli oda, oh come il carcere crudele
Sforza, e su e giù salta inquieto e snello!
Or cessa dunque il pianto e le querele,
Che se diviso dal tuo ben tu sei,
Lungi egli è sì, ma vive ancor fedele.
Ma non già più per me fedele oh Dei!
È la mia Nice; ahi Nice un tempo amica,
A’ prieghi or sorda, ed a’ lamenti miei!
Ma qual mia colpa, o qual sorte nimica,
Qual error suo, qual frode altrui cangiato
Ha in odio sì crudel la fiamma antica?
Oh solitaria valle! oh amico prato!
Oh nota fonte! oh bosco ombroso e cheto!
Dolce un tempo soggiorno ed ora ingrato.
Tempo già fu, che in questo orror secreto,
L’ombra cercando di qualche arbor folto,
Con Nice m’assidea contento e lieto.
Dove or, dov’è? non torna più quel volto
A rallegrarvi; orma non veggio intorno
Più di quel piè, nè quella voce ascolto.
Invan la cerco, invan parto e ritorno
Ai noti luoghi, indarno più l’aspetto
Dal nascer primo al declinar del giorno.
E pur credulo, oimè, se un zefiretto
Sibilando talor more una fronda,
Tendo l’orecchio, e il cor mi balza in petto.
Parmi talor, che al mio chiamar risponda
Languido suon; mi volgo. ahi lasso! e veggo
II fonte mormorar con flebil’onda.
Ah fuggiam questi luoghi, io più non reggo
Fra tanti oggetti in cui sol per mia pena
Mille ingrate memorie incontro e leggo.
Qui la vid’io, su questa spiaggia amena
La prima volta al fianco mio s’assise.
Ah ch’ella forse or sel ricorda appena!
Qui d’eterna amistà fede promise,
Qui finse di sdegnarsi, e poi mi volse
Furtiva il guardo, e languida sorrise.
Quivi a’ dolci rimproveri ella sciolse
L’amico labbro, e mille volte e mille
De’dubbj miei, del mio timor si dolse.
Ed ahi gli occhi bagnò di calde stille,
Ed io, che d’arte mai non seppi, io tersi
Credulo di mia man le sue pupille.
Oh luoghi, oh giorni, oh quanto oimè diversi!...
Ma quali in quelle piante?... Ah perchè al guardo
Vi offrite, o di mia mano incisi versi?
V’udia già Nice un dì, che al mio non tardo
Estro Amor vi dettava, e per sua gloria
Poi sulla scorza io vi scolpía col dardo.
Spesso del nostro amor la dolce istoria
Meco rilesse sugl’impressi segni.
O di perduto ben cruda memoria!
Perite, o troppo omai miseri pegni,
Nè più sia chi l’ardor, che mi divora,
A queste selve in avvenire insegni.
La man, che vi scolpì, vi cancelli ora,
E delle acerbe mie doglie secreto
Con voi si perda la memoria ancora.
Voi pur, che infausto monumento siete.
D’infausto amar, piante odïose e spesse,
Tronchi il ferro, arda il foco... ah no,vivete.
Vivete, amiche piante, e voi con esse
Crescete, o versi; e faccia il vostro stile
Fede di quell’amor, che qui v’impresse.
Forse avverrà, che alcun pastor gentile
In passando vi legga, e forse ammiri
II facil canto non incolto e vile.
E forse fia, che Nice ancor vi miri,
E per tarda pietà, ch’ella ne senta,
Sul mio tradito amor pianga e sospiri.
Ma che! ne ha dunque ogni memoria spenta?...
No, nol cred’io; tanti d’amor veraci
Pegni in secreto ancor forse rammenta.
E il tempo, i luoghi, le promesse... Ah taci,
Taci, speme crudel; debole assai
Son’io pur anco, e tu lusinghi e piaci.
Eh che pur troppo anche il mio nome ornai
Sparse d’ohblio coi dolci affetti insieme,
Che o più non sente, o non sentì giammai.
E perchè dunque alla bugiarda speme
Cedi mio cor deluso, e nutrir vuoi
D’inutil foco le reliquie estreme?
Che se imitar la crudeltà non puoi
Dell’immemore Nice, il tuo lamento
Taci, e nascondi almen gli affanni tuoi.
E tu cetra un dì cara, al cui concento
Quel nome adorno di novel decoro
Suonería forse in cento lidi e cento,
Scordalo pure, e sulle fila d’oro,
Poiché a Nice già sei vile e negletta,
Meco imprendi ad ordir nuovo lavoro.
Te Melpomene mia chiama ed aspetta
Sulla tragica scena, e a miglior pianto,
E al deposto coturno omai t’affretta.
Felice me! se col novel tuo canto
Sopisco in parte le pungenti cure,
Misero, e imparo ad obbliare intanto,
Mentre piango le altrui, le mie sventure.