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Edmondo De Amicis
Il figliuolo del cieco
(Ricordi della campagna)
Vago fanciullo biondo
Dagli amorosi e grandi occhi severi.
Che guidi pei sentieri
Il padre vecchio, cieco e vagabondo,
Che tu sia benedetto,
fanciulletto pio, forte e gentile;
Come mi sento vile.
Come mi sento vile al tuo cospetto!
Mentre l’obolo mio
Ti porgo, umile tu levi il cappello....
Ah no, non sei tu quello
Che di noi due s’ha da scoprir: son io.
Io che stempro in parole
Gli affetti che in sublimi atti tu rendi;
Io rifletto e tu splendi,
Io son lo specchio e tu, fanciullo, il sole.
Va, eroe dall’umil volto,
Di sentiero in sentier, pensoso e muto,
Col genitor canuto
Nell’infinita oscurità sepolto;
Va, fanciullo, e la brezza
Dei monti a te sia mite e al tuo protetto
E trova ad ogni tetto
Una moneta, un pane e una carezza.
E quando da la guerra
Del mondo il padre tuo vinto ad oppresso
Lasci il tuo breve amplesso
Per l’amplesso immortale de la terra
Che tu possa, indomato
Lottator, d’ogni avversa ira più forte,
Alla domata sorte
Tutti i beni strappar che t’ha negato;
E aver l’oro, e l’ebbrezza
De la gloria, e d’un angelo la mano;
Nessun trionfo umano
Sarà più grande della tua grandezza.
Va, fanciulletto pio.
Guida pei monti il cieco vecchierello,
Ma tieni il tuo cappello;
S’un di noi due s’ha da scoprir, son io.
E non è che uno stolto
Vano pudor che mi trattiene il core
Dal chiederti l’onore
Il grande onore di baciarti in volto.