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Emilio Praga
Rivolta
Stamane io aveva gridato al mio cervello
Si chiudano le porte a chiavistello,
Il padrone è ammalato e doloroso;
Si chiuda la baracca, e vi si scriva:
Oggi riposo!
E avrei voluto aver sul mio scrittoio
Qualche ranocchio fetido e squarquoio
Per contemplarlo, e stabilir confronti,
E saper come la natura imprima
Gli ultimi affronti.
E con esso un volume avrei voluto,
Un volume di qualche autor chiercuto,
Per accertarmi colla musa mia
Che a qualche cosa può servire ancora
La poesia.
L’uno gracchiando alla melma natìa,
L’altro ai santi e alla vergine Maria,
Potean soli ridarmi un’ora lieta;
Tanta vergogna mi mordeva il core
D’esser poeta.
Uscii — piovendo gocciole sottili,
Le cime nascondea dei campanili
Il nebbione, e la cupola del duomo,
Senza il manico d’or, parea la canna
Di un pover’uomo.
Mi zoppicava accanto un vecchierello
Tutto avvolto in un lurido mantello;
Era canuto, giallo e macilento,....
Lo urtai; la stoffa che lo mascherava
Si aperse al vento,
E, come un filo che trovò la cruna,
Un raggio uscì dalla sua falda bruna;
Io gridai come un pazzo: — È lui ch’io scerno,
Non v’è più dubbio, l’ho trovato, è lui,
È il padre Eterno!
Ah paradiso, purgatorio, inferno,
Alba, sera, meriggio, estate e inverno!
No, non, mi sfuggi, despota adorato;
Non mi sfuggi, e arrossir devi, e pentirti
Del tuo Creato! —
Sorrìse il vegliardo di un grande sorriso,
E parve, se squarcia le nuvole il sol,
L’arcana dolcezza del raggio improvviso
Che balza e si adagia sull’umido suol.
Poi disse: — poeta dall’occhio sdegnoso,
Allenta la foga dell’agile pie;
E a qualche vicino cantuccio nascoso,
Se vuoi ch’io ti ascolti, cammina con me. —
Passava un canonaco; sentendo il compagno
Celeste di rabbia repente tremar,
Gli dissi all’orecchio: cacciamolo a bagno?
Qui presso è un canale.... tu stammi a guardar.
E già, mi avventavo.... — ma il nume rispose:
Un solo fra tanti, fra tutti.... a che pro?
Pei versi e l’oceano, pel turbo e le rose,
Poeta, il castigo dal ciel tuonerò! —
Giungemmo a un boschetto; qui il vecchio s’assise,
Tergendo affannato, la polve e il sudor;
Mi stese la mano, di nuovo sorrise,
E, sfoga, mi disse, l’immenso furor!
Ma quel sorriso mi avea fatto muto,
E stava lì, sospeso, a bocca aperta
Come quando si aspetta uno starnuto.
E a poco a poco mi sentìa nell’anima
La leggerezza d’un ch’esce di guerra;
La meraviglia
Che invade al punto di lasciar la terra
L’areonauta.
— Padre, padre.... del mio fato mi accerta!...
Ho qui, sul cranio come un serto acuto.... ―
Egli diè un guizzo e dileguò per l’erta.
Orribilmente del letto la coltrice
Mi pesa, e intorno bisbigliando vanno
Voci domestiche:
— Bevine un pò, ti calmerà l’affanno,
È lauro ceraso.