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Ernesto Ragazzoni
Insalata di San Martino
I
È una tepida estate
di San Martino, tanto
dolce che le giornate
d’April non hanno incanto
maggior. Le stesse foglie
secche, per i vïali
più che l’aria di spoglie,
hanno un aspetto d’ali
mutevoli, lunghesso
i fossi e dentro i carri,
che se le tiran presso
in turbini bizzarri.
Io vo’ pei campi; avanzo
oltre i sentieri, e fumo,
contandomi un romanzo
per mio uso e consumo;
dove, com’è disegno
nelle oleografie,
ci son isbe di legno
sotto la neve, vie
tra pioppi ermi al tramonto,
cacciatori in cucina
attorno a un pasto pronto;
un’Ada, un’Ermelina
che guardan pei cancelli
se giunge Adolfo, Arturo;
rovine di castelli
chiuse in un cielo oscuro,
sassi di muriccioli
coll’edera, e un mendìco...
mulini... boscaiuoli...
un pozzo sotto un fico,
bimbi affacciati ai vetri
che guardan, chi sa dove;
passan forme di spetri
(son tanti dì che piove);
nubi, e una spiaggia incolta.
Insomma, l’arsenale
completo d’una volta,
romantico - autunnale.
II
Io vo’ pei campi, fiuto
per l’aria odor di tordi
arrosto, in un velluto
— cari! — di lardo a fior di
fiamma sovra uno spiedo;
e il buon odor mi viene
da un luogo che non vedo,
ma certo assai dabbene.
O pace! Che mai l’oste
mi servirà stasera?
Forse le caldarroste
— o pace! — e del barbera?
O le pere in giulebbe...
(che giorni ha San Martino!)
Né mi dispiacerebbe
prima uno stufatino.
Che pace! È come un lento
lasciarsi andare a caso
s’un fiume sonnolento,
incontro a un bell’occaso...
L’acque, in un loro velo
viola e d’or, pare ardano;
e sono l’acque e il cielo
silenzi che si guardano.
Io vo’ pei campi. Lungi
bruciano forse stipa,
c’è un fumo, e ve ne aggiunge
pur uno la mia pipa.
Oh, il fumo? Chi la sente
la nostalgia che ha
il fumo — che, silente —,
d’autunno se ne va,
(esule e senza casa)
d’autunno, e verso sera...
sulla campagna rasa...
ombra che si fa nera!
Con che, detta la mia,
(come la mulinavo!)
brava corbelleria,
fo’ punto, e vi son schiavo.