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Ernesto Ragazzoni
L'isola del silenzio
C’era una volta un’isola
arcana, fra le rosse
acque d’un triste oceano
sperduta. Non so più
sotto a che latitudine
od in che mar si fosse,
ma credo dovesse essere
al sud... certo laggiù...
perché vi si attorceano,
come serpenti, i nodi
delle lïane. E l’agili
palme salienti al ciel,
tessendo ombre lunghissime
pei clivi e sugli approdi,
spargean attorno un balsamo
di resina e di miel.
Tra i cacti e le magnolie
dormiano gli oleandri,
l’agavi protendevano
le braccia agli aloè.
Ma, fra le nozze splendide
dei rami, in quei meandri,
giammai non si vedevano
orme d’umano piè.
Miriadi di mammole,
come occhi di fanciulle,
spiavano tra gli alberi
indarno un passegger.
Perché quell’era l’Isola
del Silenzio e mai sulle
mute sue rive l’áncora
calarono i nocchier.
L’aura appassita, al vespero
cadendo sulle cose
(Oh, che purpureo incendio
di rose era laggiù!)
non risvegliava un murmure;
nell’afa, accidïose,
illanguidivan l’anime
degli echi, e le virtù
dei suoni. Il suolo torrido,
(su cui parea premesse
l’incubo inesorabile
d’una maledizion)
non racchiudea che l’alito
dei fiori, e le promesse
dei fiori, e non un cantico
non una voce, non
un trillo... un grido, un fremito
di vita. Nel metallo
del mar, cadea l’immobile
vampa di strani fior.
E i fiori erano rigidi
petali di corallo,
e il sol parea, tra gli alberi,
come una lama d’or.
Così dormono i fulgidi
sogni nel mio pensiero:
Isola del Silenzio,
niuno vi penetrò.
E i balsami vi muoiono
come in quel cimitero
di fior, lungi dagli uomini,
che il mar dimenticò.