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Filippo Sassetti
Discorso sopra il cinnamomo
La pittura storica di qualunque cosa è tale per le sue fattezze tutte, accidenti, e proprietà, che fa errare molti, i quali particolarizzando aggiungono al vero, che si vede, che si tocca, e che si gusta, quello, che s’intende da chi l’intese da altri, che nol vide, nè l’intese da chi ’l vedesse, nè cura se non di contare cosa nuova, e pellegrina. Questo con la diversità de’ costumi, coll’uso differente delle cose procedente dalla variazione de’ tempi, ha fatta molta confusione tra gli Scrittori moderni contendenti, se noi abbiamo, o siamo senza il Cinnamomo, del quale scrissero Erodoto, Teofrasto, Dioscoride, Plinio, Galieno, ed altri. Amato Lusitano si crede, che tutte le specie del Cinnamomo scritte dagli antichi si possano ritrovare nella Cassia d’India di Lisbona, quasi restassero i Portoghesi colpati di poco diligenti, se nelle navigazioni loro all’Indie Orientali non si fosse discoperta sì ricca cosa, chente è il Cinnamomo. E se Andrea Laguna avesse creduto il medesimo, non avrebbe reputato, che gli avesse donato colui, che gli diede un pezzo di Cinnamomo ritrovatosi, siccome egli dice, nella sepoltura di Maria sorella d’Onorio, e d’Arcadio, discopertasi nel Pontificato di Paolo III. Dice egli bene, che in Venezia si ritroverebbero tutte le spezie della Cassia lignea, ed alla costui opinione si accosta il nostro Mattiolo, e ’l Fuchsio a quella del Portughese. Furono in India modernamente Garzia d’Orta Portughese, e Cristoval Acosta Affricano; quegli ne’ suoi Dialoghi esamina la natura di molti aromati, e medicine; e questi, raccolti i concetti del detto, ha compilato un Libro il lingua Castigliana, intitolato: Trattado de las Drogas y Medicinas de las Indias Orientales; seguitando in tutto, come egli dice, le determinazioni di quell’altro. Scrissero amendue diffusamente della natura del Cinnamomo. La conclusione molte volte replicata da amendue, e da nessuno di loro provata è; che la Cannella fine, la quale si porta dall’Isola del Zeilan, sia il vero Cinnamomo scritto dagli antichi, e la Cannella del Malabar, e della Iava, che i Portoghesi addimandano di mattos, e vuol dir salvatica, sia la Cassia lignea de’ medesimi, e l’una cosa, e l’altra essere una specie stessa differente fra se poco più, o meno; la diversità de’ nomi esser cominciata in Persia, dove portandola i Chini per la navigazione d’Ormuz, essere stata chiamata la Cannella fine d’Archinì, che vuol dire, legno de’ Chini; e l’altra più bassa mercanzia de’ marinari, e della povera gente sì allora, come oggi aver ritenuto il nome Malayo comune Caismanis, che vuol dir legno dolce passato d’Ormuz in Soria, ed in Egitto; la migliore d’Archinì essere stata chiamata Cinnamomo, e l’altra Cassia lignea di Caismanis. Ed è da maravigliarsi di questo Acosta, che mostrando come l’una cosa, e l’altra passasse di quà agli Arabi, ed a’ Greci, ci dica appresso, che i medesimi non conobbero questi Semplici. I fondamenti di questi due dovevano per ragione risolvere questa difficultà, e trovarne il vero; ma non si può dire, che sia ben fondata l’opinione loro, ancorchè ella sia molto aiutata da quello, che dice Galieno, che ci aveva alcuna spezie di Cinnamomo la più imperfetta, che era come la Cassia lignea della migliore spezie; donde si può argomentare, che tra ’l Cinnamomo e la Cassia a’ tempi loro non avesse altra differenza, che del più, e men buono; anzi, dice Galieno, che la Cassia si tramutava in Cinnamomo, e che la natura di questa universalmente era simile a quella dell’ottima Cassia; per lo che se la Cannella d’oggi la più imperfetta è la Cassia lignea degli antichi (di che par che non si dubiti) sarà vero il dire, che l’ottima Cannella di questi tempi sia simile alla natura del Cinnamomo. Ma altramente par, che ne perssuadano le note, con le quali ce lo dipinsero i medesimi Scrittori de’ detti tempi, de’ quali il fondamento principale per venire al vero di quello, che si cerca, è il raccontare quella parte, nella quale disegnano quelle qualitadi, che essi videro, toccarono, e gustarono, in che non avevan luogo d’ingannargli le altrui false relazioni. Fa Dioscoride più specie di Cinnamomo, e dice nomarsi da’ luoghi, dov’ei nasce, e credersi migliore quello, che per rassomigliarsi alla Cassia Moseleite si addomandava Mosilitico; e di questo il fresco è di color nero, che tende dal vinoso al cenerognolo, liscio, sottile di ramo, cinto di spessi nodi, e odoriferissimo; dare indizio dell’ottimo la proprietà del suo giocondo odore, ed in quello massimamente, che era più in uso, e di odore prossimo alla Ruta, e al Cardamomo, accordarsi l’acuto, e mordente al gusto, con certo calore salso; e che ci era il terzo simile al Moselitico, nero, odoratissimo, denso di sarmenti, e con nodi rari. Plinio, dopo aver raccontato l’Istorie degli antichi a suo diletto, e dopo aver detto, che l’Armata di Alessandro ne sentì l’odore costeggiando l’Arabia, soggiunse: tutte bugie; il Cinnamomo, o Cinnamo nasce nell’Etiopia, che è congiunta con Troglodite, che è anche opinione di Tolomeo, chiamandola Trogloditica Cinamifera. Ma Plinio seguendo il proposito, dopo d’aver fatigato in figurarci la Pianta, soggiugne, che la maggior parte delle vermene era nella parte più sottile per la lunghezza d’un palmo, e dopo questa, quella, che le succede, ma più corta, e così per ordine; il peggior di tutti quello, che è presso alle barbe, per esservi poca scorza, nella quale era il colmo della grazia, e perciò stimarsi più le vette, dov’è più scorza, ma il legno essere in fastidio per l’acutezza dell’origano, e chiamarsi legno Cinnamomo. Trattane il prezzo, e soggiugne, che fecero alcuni due maniere di Cinnamomo, il bianco, e il nero, e già stimarsi il bianco, ed allora per lo contrario stimarsi il nero, ed il vario anteporsi al bianco. E trattando della Cassia, dice, ch’ella era uno sterpo, che nasceva presso a i campi del Cinnamomo, ma ne’ monti, di vermene più grosse, e di buccia, anzichè di scorza più sottile, la quale al contrario del Cinnamomo, era a proposito votarla, e farla più leggieri. Galieno cel pone innanzi con queste note: Dee adunque l’ottimo essere odoriferissimo, e più d’ogni altra cosa spirare d’uno inesplicabile, ma gentilissimo odore; dee parimente essere caldissimo, e mordace al gusto, ma non però tanto, che masticandolo offenda il palato; e dee aver un colore, come se si meschiasse latte con qualche color nero, e con un poco di azzurro insieme; e dice poco più oltre, che ogni Cinnamomo nasce da una radice a guisa d’un piccolo arboscello, e tale avere sei, e tale avere sette virgulti, o pochi più, ma non tutti d’una medesima lunghezza, avvegnachè la maggior di tutte non ecceda la lunghezza d’un mezzo piede Romano. Questo dissero gli antichi del Cinnamomo; e pare che si possa di mente loro statuire, che il Cinnamomo nascesse nella Trogloditica; perciocchè, sebbene Dioscoride lo fa nascere in Arabia, com’ei dice, avervi di quello, che si chiama Moselite, viene in un certo modo a confessare, ch’ei nascesse anche nella Trogloditica; donde manifestamente si raccoglie, che la Cannella del Zeilan non può essere la medesima cosa, che il Cinnamomo, poichè i luoghi, dove nasce l’una cosa, e l’altra, sono così distanti. Pensossi Cristoforo d’Acosta, che questo nome Moselite facesse a provare l’opinion sua, dividendolo, siccome io avviso, in due parti, quasi che volesse dire Soilao,e Mo, cioè montuosa; onde avvertisce gli Speziali, che ne’ componimenti delle medcine, che ricercano il Cinnamomo, opongano Cannella del Zeilan, che è Isola montuosa, non si ricordando peravventura, che Plinio al 29 Capitolo del suo sesto Libro, pone il Porto Moselide nella falda dell’Etiopia, che vien fuora della Porta del Mar Rosso, con queste parole: Più oltre il seno Abalita, la Isola di Diodoro, ed altre diserte, e per la Terra dentro deserti altresì. La Villa Gaza, e ’l Promontorio, e Porto Moselite, done si porta il Cinnamomo; il qual Promontorio, e Porto sono pure da Tolomeo posti nel medesimo luogo, e chiamati da lui Mosilone. Nè si dee da noi stimare, che così come riferirono già altre menzogne del Cinnamomo, che fusse bugia, che egli quindi si portasse, perchè l’altre favole erano già tutte discoperte; il Mar Rosso navigato da’ Romani in quei tempi è ben descritto da Plinio, e non pure quello, ma la navigazione da quella Costa sino all’Isola Taprobana. Molto maggior forza ha l’argomento, che da per se stesso scoppia contra la costoro opinione dalle note, che gli antichi scrittori attribuirono al Cinnamomo. Perocchè noi non possiamo stimare, che sì fatti uomini s’ingannassero in dire, che del Cinnamomo ne aveva del bianco, del nero, e del vario, non avendo mestieri d’altrui relazione in quello, che essi vedevano, e gustavano per se stessi. Fanno essi adunque diverse spezie di Cinnamomo; e comecchè Dioscoride lodi il nero, Galieno approva il vario, che è il color, che risulta dal bianco, e dal nero mischiato con l’azzurro. Ma se oggi alcuno dicesse, che la Cannella nera è migliore, che non è la rossa, o più la varia, e la bianca, come di cosa senza dubbio, non se ne terrebbe conto alcuno. Perocchè la Cannella di sì fatti colori ha già perduta la sua perfezione. Non seppe svilupparsi di questa difficoltà veduta da lui Cristoforo d’Acosta, e senza citar gli Autori, o dichiararla, se ne spaccia con dare un tale avvertimento, che avvenendosi a Cinnamomo, o Cannella di questi colori, dobbiamo intendere, che ella è dannata già, o è in via alla putredine, tanto era lungi la sua conclusione dal ritrovare per le note degli antichi il vero Cinnamomo; essendo a lui nota di putredine quello, che era allora segno di perfezione, e specifica differenza. Ma i medesimi Scrittori antichi parlano di questo Semplice, come d’un legno, che abbia tutte le sue parti, e non d’una sola scorza, qual’è la Cannella. Il che notò bene il Mattiolo contro alla costoro opinione scrivendo sopra il capitolo del Cinnamomo di Dioscoride, il quale in tal maniera ne parla, assegnando li rami, nodi, e altre parti, per le quali legno dobbiamo stimarlo; e comecchè Plinio in tutto quel capitolo, nel quale egli esamina questa materia, lo intenda per legno, chiaramente lo dice egli, dove ragionando delle note della Cassia, ancorchè egli stimasse, che ella si votasse in questa favolosa maniera, dice, che sopportava la spesa a votarla contra quello, che si faceva del Cinnamomo; donde si cava, che per questo nome Cinnamomo non s’intendeva una scorza, ma una vermena con suo legno, scorza, rami e ogni altra sua parte. Ed è di quì manifesto, che la Cannella del Zeilan non è la stessa cosa, che era il Cinnamomo, nè si puote, al parer mio, porre una conclusione, che ogni parte risponda a quello, che del Cinnamomo scrissero gli antichi, e che tolga tutte le difficoltà, che se le potessero muovere; non perchè io stimi, che noi manchiamo di questo Semplice, ma perchè si vede manifestamente, che furono antichi intorno a questo, e molte altre cose mal ragguagliati, come del luogo, dove dicevano nascere, adivenne, dal quale prese il Cinnamomo nome di Moselitico, cosa al tutto fuori del vero, perocchè di questa Terra .... esce molto avorio, mele, burro, miglio, ed altre cose necessarie al vitto, ma droghe, e spezierie di nessuna sorte. Nè si può stimar vero, nè è verisimile quello, che Plinio conta, che si perdessero le selve di Cinnamomo per quell’incendio fatto, e masisme dalla vampa, che menano i venti Australi in quelle parti, e in quelle d’India; perocchè com’e’ vengono di sopra al grande Oceano Australe, menano con esso loro molta tempesta di tuoni, di lampi, e di piogge, che se si fusse attribuita quell’arsura ai venti, che vengono di verso l’Egitto, e di lungo tratto sopra l’Etiopia superiore, potevamo più facilmente accostarci a quella oppenione; ma se quella vampa fu cosa accidentale, perchè non tornò la Terra a produrre quelle piante, che ella spontaneamente innanzi producea, come noi veggiamo accadere nelle selve cedue, o in quelle, che per alcuno accidente si abbruciano? Se era quell’incendio cosa ordinaria, e causato da’ venti, che tirano sempre nella stagion loro, come si coglieva il Cinnamomo di quei tempi? Nè si dee credere, che non si sia potuta mantener viva la pianta del Cinnamomo, così come alcuni dicono, che non si è potuta mantenere quella del Balsamo, non valendo la similitudine, quando pur fosse vero, che non si ritrovasse oggi il Balsamo, che pur credono molti, che si ritrovi, portandosi di Costantinopoli un tal liquore, che esce della Guardaroba del Gran Turco come Balsamo con molte delle qualità assegnategli da coloro, che anticamente esaminarono la natura sua. E da un Arabo fu portato in quà un fiaschetto d’un liquore, che egli in suo linguaggio pur Balsamo addimandava, il quale si diffondeva sopra l’acqua senza apparirvi macchia nessuna, e rappigliato in latte, ma nuotandovi sopra, vi faceva sonagli come sopra l’acqua fa l’olio. Sparto ne’ panni lani, gettatovene sopra, e poscia lavati non rimanevano netti interamente. E questo liquore, che portavava cotui dalla Mecca, credo io certo, ch’e’ fusse Balsamo, ma con qualche mistura. Ma posto che non si sappia questa Pianta, e non si trovi, non conchiude, che ella sia spenta, e quando pur questa, non perciò quella del Cinnamomo. Nè fu buono l’argomento a conchiudere, che il Cinnamomo nascesse nella Trogloditica per uscire del predetto Moselite, e chiamarsi per quel nome; perchè anche la Punta, che uscendosi dalla parte del Mar Rosso, dalla parte d’Etiopia sporge in fuori, e che oggi s’addomanda Capo di Guardasu anticamente fu chiamata Aromatum Promontorium, non perchè vi nascessero Aromati, ma perchè uscendo di queste parti d’India, e incamminandosi per l’Arabia, e per l’Egitto andavano i navilj a riconoscere quella Punta, e ne’ luoghi detti di sopra facevano la prima scala, donde gli antichi credettono, che tutte le Spezierie, e le Droghe, che nascono nelle parti d’India, nascessero nell’Arabia, ed altresì dove nasce l’Incenso, e la Mirra enfecofora, e l’Aloè. Ma ne’ libri de’ nostri Mercanti si troverà anco scritto Chermisi di Spagna, avvegnachè ei nasca nell’Indie Occidentali, ma per far testa nella città di Siviglia, donde si diffonde in ogni altra parte, vene a chiamarsi Chermisi di Spagna. Chiamasi parimente la buona Trementina Viniziana, sebbene non è in Venezia se non un canale d’acqua salsa, dove non nasce Trementina. E ’l Gengiovo, che va da questa parte per via d’Alessandria in Italia, si chiama d’Abuli, che vuol dir di Dabul scala di questa Costa tenuta da’ Mori, avvegnachè del Gengiovo ne vada alla Mecca di Calicut, da Cunamor, Barzalone, e Baticala, e dal medesimo Porto di Dabul, dal quale, qualunque la cagione se ne fusse, tutto prese il suo nome, in maniera che quello, che ingannò gli antichi, non pure nel Cinnamomo, ma nel Licio, ed in molte altre cose, delle quali assegnarono per patria il luogo, dove elle facevano testa, ed erano tutte quindi portate, come i discorsi sono i medesimi, va ingannando ancora i moderni. Non solo adunque la Terra, che genera, ma il luogo, dove grandemente si tratta d’alcuna cosa, le dà il nome, dal quale non si può nel vero argomentare de’ suoi natali, e facendosi, ne rimane altri ingannato, sicocme io stimo, che avvenise che gli antichi non pure in questo particolare, ma nella grandezza della Pianta ancora, di che veggio esser tra loro molta varietà; e se non fosse errore in quel Testo, si potrebbe desiderare in Galieno la solita esplicazione, scrivendo egli, che la maggior vermena del Cinnamomo era di mezzo piede Romano. Ed in altro luogo dice, esserne stata portata a Roma una una Pianta tutta intera in un arasso della grandezza di quattro cubiti, e vorrebbe egli per ventura dire quello, che disse Plinio, che i pezzi, che si facevano delle vermene del Cinnamomo, erano della grandezza di mezzo piede o poco più, o meno. Ma essendo le parti estreme delle vermene le più pregiate, come queste erano e le più sottili, e le più corte, sarebbero di queste la maggior parte di quelle, che erano portare a Roma, e stimate la grandezza di tutta la Pianta, donde, come di cosa maravigliosa facesse menzione Galieno di quella di quattro cubiti. Considerando molte volte (come di farlo dà ampia comodità il lungo tempo, che è da Lisbona in India) quello, che dicono gli antichi in materia di questo Semplice, e le note, con le quali lo particolarizzano, perchè in ogni tempo si potrebbe conoscere, e rettificare, come in effetto non lo facevano differente, quanto alla sostanza, dalla Cassia lignea, se non per nota di migliore, e di peggiore; e veggendo altresì essere tenuto per vero, che sia la Cannella d’oggi, o tutta, o la peggiore, la Cassia lignea degli Antichi, e notando ancora, che i medesimi parlano del Cinnamomo, comecchè un legno sia, ma non pertanto e’ dichiarano, che la scorza era stimata, e non il legno, al quale danno il suo nome differente dal Cinnamomo, chiamandolo Legno Cinnamomo, dichiarato del tutto inutile quasi in ogni cosa, come fu dottamente avvertito da Mathias de Lobel, stimai sempre, che l’opinione de’ due medesimi Aorta, e Acosta recitata di sopra mancasse più d’esplicazione, che di verità. E’ certo, che il dire, che la Cannella del Zeilan è il Cinnamomo, e per non poteri dichiarare, in che modo avvenga, che la nera, e la varia sia la migliore, come dicevano gli antichi del Cinnamomo, dire, che ella è o guasta, o in via a guastarsi, è tanto come arguire da insensati uomini così fatti, o pur è un mostrare la debolezza della propria opinione. Condottomi in India, e veduto più volte nella Terra di Malabar, del Canarà, ed in questa di Goa la Pianta della Cannella, che chiamano di mattos, le fattezze, e le qualità di tutto lo sterpo, così sopra la terra verde, come tagliata, e secca, e veggendo delle vermene bianche, delle nere, e delle varie, stimai non potere essere altro il Cinnamomo, che la stessa Pianta, della quale nell’Isola del Zeilan mondano la buccia per la Cannella tagliata del suo cesto con tutte le sue parti, e condotta nel Paese nostro; ed avendo per due anni continui dato cura, e danari a persone, che andavano in quell’Isola di portarmi piante di Cannella di quella Terra per chiarirmi dell’oppenione mia, la seconda volta mi furono portati due fasci grandi d’alberi, o sterpi della detta con tutti i rami, foglie, scorze, ed altre parti, come furono fatte dalla natura; alla vista delle quali mi certificai, che il Cinnamomo degli antichi non era altro, che il gambo della Cannella spiccato dal suo cesto, così come lo creò la natura, convenendole tutte le note vere, che gli antichi le attribuirono, essendo primieramente di natura cedua, sicchè si spicca la scorza tagliando i gambi di tre anni in tre anni; i colori, con i quali ce la dipinsero, tutti vi si veggono, e particolarmente vi è questa sorta specificata da Galieno, come se fosse un negro spartovi sopra latte, e mischiato con azzurro, differenza tanto singolare, e particolare, che quando nessun altro argomento vi fosse, questo sarebbe bastevole a far risolvere altrui in questa oppenione. L’altre spezie raccontate da Plinio del bianco, e del vario vi si veggiono altresì, ma molto più quella, che diceva Dioscoride, che era molto approvata, che tirava dal vinoso al cenerognolo, la qual note, comecchè ella convegna alla semplice Cannella (argomento a provar l’oppenione de’ moderni) nello stesso legno, e nella buccia si scorge in maniera, che in questa parte non riman luogo da dubitare. Quello, che dissero Dioscoride, e Galieno, dell’odore gentilissimo, del quale spirava il Cinnamomo, poteva fare altrui dubbio in questa oppenione; imperocchè le cose, che danno di se odore, come è il Musco, e ’l Zibetto, e l’Ananas, e ’l Cedro, tosto che si comparisce dov’e’ sono, fannosi subito sentire; il che non avviene della Pianta di Cannella, la quale non dà odore, nè secca, nè verde, il che fa difficoltà non meno alla detta oppenione, che ella si faccia a questa, perocchè entrandosi in alcuna stanza, che sia piena di finissima Cannella, non se ne sente odore. Ma tira fuori di questa difficoltà o coltello, od altro argomento, o pure la stessa mano, non solo rompendo una delle vermene, ma riscaldandole solamente, e fregandone un pezzo coll’altro, col qual moto esce fuori quell’odore giocondo, del quale favellano gli Scrittori nominati sopra. Nè è necessario mettere le cose odorifere alla presenza senza altramente alterarle per sentirne l’odore; e dell’Ambra veggiamo, che senza distemperarsi non ha odore; che diletti. Ma il sapore della Cannella del Zeilan per se solo poteva bastare a far conoscere o che ella era l’ottimo Cinnamomo, o una delle spezie migliori, perocchè andando col suo calore a scottare il palato, come farebbe il pepe, se le discuopre una dolcezza per compagna soave tanto, che non fa il gusto risolversi, se è maggiore l’offesa, la quale riceve dalla caldura, o ’l diletto, che gli porge la dolcezza; e come di ciò molto in dubbio, si rimette molte volte a farne l’esperienza con tai pezzolini; nota particolare attribuita da Galieno al Cinnamomo, e che fa differente la Cannella del Zeilan da quella di Mattos, che nasce nel Malabar, la quale menando seco molto ardore manca del temperamento di quella dolcezza in maniera che ne rimane la bocca abbruciata, e discontenta; e comecchè il tatto, ed alla sola vista si conosca l’una, e l’altra, la differenza propria è quella del sapore, veggendosi nelle parti basse di queste Piante i ramuscelli secchi, cioè senza sostanza di legno, che è quello, che vorrebbe dir Plinio, poichè tutto il legno aveva da comparire in Italia secco, come noi veggiamo a’ piè degli alberi nelle selve fonde, che per povertà di Sole restano i rami da basso vani, e senza sostanza. Il gambo tra nodo, e nodo è liscio, e presso al piè della scorza tanto sottile, che meritamente farebbono gli antichi poca stima di quella parte, nella quale non si distingue bene la prima buccia dalla scorza, benchè piccolo, in maniera che non mi persuado, che e’ fra, e fosse più da disprezzare per essere scipito, che perchè egli avesse l’acutezza dell’Origano; donde non posso non mi maravigliare, giacchè fino allora e’ non era in conto alcuno, di come e’ si portasse in Europa stante il costume del votare la Cassia, nè si può stimare, che d’altronde procedesse, che dal sentirvi alcun sapore della scorza; ma verrebbe dipoi per l’abbondanza di questa Droga a disprezzarsi. Ma chiamandosi in Persia questa Cannella d’Archinè, che vuol dire, com’è’ dicono, legno de’ Cini, venne a durar quel costume, quanto durò il tratto di quelle Genti; e dagli Arabi, che loro succederono nel tratto, gente di finissimo intendimento, sarebbe raffinato il costume di votarla con l’esempio dell’altra. Puote altrui parer maraviglia, se nasceva il Cinnamomo dall’Isola Taprobana, che è l’Isola di Zeilan, e che gli ambasciadori d’un Re di quell’Isola, che andarono a Roma nel tempo di Claudio, raccontando le meraviglie della Terra loro, non facessono menzione alcuna del Cinnamomo, giacchè tanto si pregiava nelle parti nostre. E’ vero, che se quei Negri fussero stati uomini avvisati, averebbono dovuto raccontare del Cinnamomo, e tacere, che della Terra loro non si vedesse l’Orsa, e, che è peggio, le Gallinelle, che continuamente si rivolgono loro sopra la testa, e che di quivi si vedessero i Sericani. Ma così è, che quei popoli innocenti non avvezzi a vedere allora visi strani, nè ad andar per l’altrui Terre, essendo proibita la navigazione per la legge di quei Gentili, non avranno curato nè sapere, nè malizia, e avranno risposto alle dimande, che erano loro fatte, quello, che veniva loro alla bocca, dispiacendo a ciascuno per semplice, che e’ sia, sciorre la lingua a dire, io non so, dove la domanda fosse di cosa, ch’ei non sapessero. Ma come in quei tempi si stimava, che il Cinnamomo nascesse nella Trogloditica, o nell’Arabia, donde egli era portato nelle parti nostre, non vi sarà stato chi loro abbia domandato di questo particolare, ed essi se l’avranno taciuto. Se uno de’ nostri fosse condotto in parte, dove non nascessero, nè si sapesse, che ne’ Paesi nostri nascano Agli, che nascono in ogni parte, non porrebbe questa per una delle doti principali della Terra nostra, facendo dispregio l’abbondanza in ogni parte, intanto che in quell’Isola di Zeilan si vende un Bar della più fine Cannella, che sono 360. libbre di 16. once, a 6. e 7. Parafini di 6. Reali l’uno, e questo adesso, che i Portughesi stanno in continua guerra col Ragni Signore di quell’Isola, che altrimenti in tempo di pace costava quello, che si spendeva a farla tagliare; donde non è maraviglia, se come di cosa vile, non ne facessero menzione quei Negri. Essendo adunque l’albero della più fine Cannella il vero Cinnamomo, ei nasce nell’Isola del Zeilan, che è l’antica Taprobana, ed è oggi chiamata da tutti gl’Indiani Cingal, e nasce in ogni parte d’essa, ma particolarmente ne’ luoghi bassi, che veggiono la marina. E dicono alcuni, che navigandosi lungo quell’Isola se ne sente l’odore, cosa detta da Plinio, il quale referisce, che l’armata di Alessandro Magno costeggiando l’Arabia sentì l’odore del Cinnamomo, ma come sopra si è detto, veggiamo, che la Cannella nè secca, nè verde senza alterarsi non ha odore; bensì a coloro, che vengono di lungo tratto di mare, appressandosi a qualunque parte di questa Terra d’India, si rappresenta un odore soavissimo distinto, che nè di Mare, nè di Terra si può determinare, se non che il senso ne rimane grandemente soddisfatto, come fosse un composto dell’odore, che gittano le Piante di questa Costa, le quali stanno fiorite il più del tempo, e di molte sono i fiori odoriferissimi, come della Manga selvatica, e del Cagiù, intantochè quando si naviga terra terra, e tirano venti terreni, non sa altri saziarli del gentilissimo odore, che portano seco, il quale stimerebbero per ventura, ch’e’ fossero proprio degli Alberi della Cannella, i quali sono sterpo non dissimile nella sua figura ad un Corbezzolo, o ad un cespuglio di Nocciuoli. Tralle sue barbe, comecchè un cesto ne abbia molte, una sola la più grossa si ficca in terra, e questa ne ha dipoi dell’altre più sottili. Escono di un solo cesto sei, o sette virgulti, alti quattro braccia, che allora hanno la grossezza convenevole per mondarne la Cannella. Le ramitelle, che sono presso al piede, come adiviene agli alberi, che sono nelle selve fonde, si seccano. Le foglie nella figura sono simili a quelle dell’Alloro, circondate da una linea piana, che hanno una costola nel mezzo per lo lungo, ed altre due, che congiungendosi con questa nella punta, e nel picciuolo, fanno una figura ovata; da queste si muovono in traverso cotali fila tra costola, e costola, come fossero una tela di ragnatelo. Hanno le vermene della Cannella una cotal bucciolina sottilissima di colori diversi secondo la complessione particolare della Pianta, la posizione, il tempo, e la parte, che tutte queste cose concorrono a fare il color vario. Perciocchè nel piede, comecchè sia la Pianta grossa, è la detta buccia bianca, nella vetta nera, nel mezzo varia, onde in uno stesso gambosi veggiono molte volte tutte quelle differenze di colori, donde presero gli Antichi occasione di fare diverse specie di Cinnamomo; ed in molti gambi si si vede quel color vinoso, che tira al cenerognolo, come diceva Dioscoride; ma sotto questa buccia è la scorza, che si monda per la Cannella, la quale in quella del Zeilan è più sottile, che in quella del Malabar, e sotto questa scorza è il legno, la materia del quale è leggieri, e villosa, e nel mezzo ha il midollo di color rossigno, come quello dell’Alloro, ma non tanto grande. Egli è legno di sapore insipido, se non che dopo di averlo pur masticato molto, vi si scuopre pure un poco dell’ardore della Cannella, ma così debole, che se non vi si bada bene, non vi si distingue. Tra il picciuolo della foglia, e il gambo, donde ella nasce, vien fuori un filo bianco tondo, e sottile, il quale si apre nella cima in piccole ramitelle, o dita, e nella sommità di ciascheduna di esse è una piccola boccia, che stando chiusa si rassomiglia al mignolo dell’Ulivo, sì nella figura, come nel colore; apresi in sei foglie, le quali nel piè si uniscono, e fanno calice, e la sostanza del fiore, che sono sottili fila colla cima larga, e tonda, sta appiccicata nel fondo. Sono questi fiori di così gentile temperamento, che non sono tantosto aperti, che sono uccisi dal Sole; l’odore non è giocondo, anzi grave alla testa, e poco grato; il sapore astringente, ed il frutto, che nasce quindi, è una boccia non molto grande, e non dissimile nella figura ad una boccia di fior di cedro, o di limone, che siede in un coppo, siccome le ghiande; la qual boccia, verde nel principio, si va ingrossando facendosi pagonazza, e maturandosi tira al nero; quando è nella sua perfezione è come una ghianda. E’ questa boccia una cappa, ovvero buccia, dentro della quale si rinchiude il il seme della Pianta, che sono grani piccoli, come quelli del fico, di color giallo, senza odore, e del medesimo sapore della Cannella, ma più dolci. Pasconsi gli uccelli di questa frutta, ed i colombi salvatichi avidamente, onde si alloppiano in maniera, che stando sopra i rami dormendo, cade loro la testa ora da un lato, e ora dall’altro, come a ebro, che tracolla. Il sapore della scorza non è da tornare a descriverlo, avendosi massime tutto il giorno la Cannella tra i denti. La scorza delle barbe è molto più cocente, che quella del gambo non è, e masticata si rappresenta al celabro quasi olio di spigo, o come la Canfora. Le foglie sono al gusto piacevolissime, ed ancorchè elle non cuocano, masticandole, come fa la Cannella, non le sono molto inferiori; ma le tenere, e nuove, non pure non hanno questo gentil sapore, ma sono astringenti spiacevolmente, e fanno la bocca lubrica, come chi tenesse in bocca granella di pere cotogne. Cavasi dalla Cannella distillata così verde la sua preziosissima acqua, ma non è men buona quella, che insegna fare il Mattiolo. Lo sterpo, o albero della Cannella di Terraferma, che in rispetto di quella di Zeilan si chiama salvatica, nasce in tutto il Malabar, e nel Canarà, e nel Concan fino all’altura di Goa; ma paiono queste Piante, in rispetto di quelle del Zeilan, veramente selvatiche, essendo stoppagnole, forchettute, e con molti rami. La Cannella, che si spicca dalle Piante del Malabar non cede di molto a quella del Zeilan, se non quanto è la scorza più lignea, e più stopposa, di più acceso calore, e che nel palato abbrucia con men conforto. In quella, che si coglie nel Canarà, si conosce già molta differenza, e quella del Concan pel sapore si riconosce appena; e così non ha dispaccio nessuno di queste di Terraferma, se non di quella di Coccino. L’altre note sono comuni a tutte le Piante, sì degli uni, come degli altri luoghi, e le foglie, che abbruciando non iscoppiettano, possono trarre di dubbio coloro, che inclinassero a far l’albero della Cannella, e l’Alloro una medesima cosa