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Giacomo Leopardi
Appressamento della morte - Canto IV
Tornò la piaggia queta: allor che sopra
Oscuro carro apparse un che si stava
Immoto in guisa d’uom cui sonno copra.
Sedeva, e sopra ’l petto gli cascava
La testa ciondolante, e ’l carro gia
Come va carro cui gran pondo grava.
Testuggini ’l traeano, e per la via
Moveasi taciturno e così lento
Che suon di rota o sasso non s’udia.
Vedi, ’l Celeste disse, quel ch’ha spento
La fama e ’l grido di que’ magni tanti
Lo cui rinomo è gito come vento.
Vedi che ’ntorno al carro e dietro e innanti
Va quella gente trista lo cui volto
Tutto è ’nvoluto entro suoi lunghi manti.
Questa die’ tempo lungo e sudor molto
Per viver dopo ’l passo, e tutto ’l frutto
De l’opra sua quel suo signor gli ha tolto.
Or muto di suo nome è ’l mondo tutto:
Pur die’ la vita perch’eterno fosse,
E ’l mertava quant’altri, e que’ l’ha strutto.
O sventurata gente, e che ti mosse
A ricercar quel che da Obblio si fura,
Sì che giace tua fama entro tue fosse?
Oh vita trista, oh miseranda cura!
Passa la vita e vien la cura manco,
E ’l frutto insiem con lor passa e non dura.
Quando posasti il moribondo fianco,
Dicesti: Assai vivemmo, e non fia mai
Che nostro nome di sonar sia stanco.
Misera gente, ah non vivesti assai
Per trionfar d’Obblio che tutto doma:
Invan per te vivesti e non vivrai.
Quanto me’ fa colui che non si noma
Al mondo no, ma nomerassi in cielo
Quando deposto avrà la mortal soma.
Lui dolcezza sarà lo final gelo,
Nè teme Obblio, ch’avrà la terra a sdegno
Quando vedrà ’l gran Bello senza velo.
Or ti rafforza, o mio povero ’ngegno,
E t’aiti colui che tutto move
Che dir t’è d’uopo di suo santo regno.
Or prendi a far quaggiù l’ultime prove,
Ora a mia bocca ispira il canto estremo.
Cose altissime canto al mondo nove.
Ve’, quel soggiunse, e ’n ripensarvi io tremo,
Che solcando si va questo mar tristo
Con iscommessa barca e fragil remo.
Assai travaglio assai dolore hai visto:
Or leva ’l guardo a le superne cose,
Or mira ’l frutto del divino acquisto.
I’ sollevai le luci paurose
Inver lo cielo, e vidi quel ch’appena
Mie voci smorte di ridir son ose.
Come quando improvviso si serena
Il ciel già fosco sopra piaggia bella,
E ’l sol ridendo torna e ’l dì rimena,
E ’l loco sua letizia rinnovella
Mentre in ogn’altra parte è ’l ciel più nero
E tutto intorno chiuso da procella:
Così lassuso in mezzo a l’emispero
Fendersi vidi i nugoli e squarciarse,
E disfogando i rai farsi sentiero.
E poi l’aperta vidi dilatarse,
E crescer lo splendore a poco a poco,
Sì che lucido campo in cielo apparse.
Lume di Sole a petto a quello è fioco
Che rifletteasi ’n terra e ’l suol fea vago
Brillando tra le foglie del bel loco,
Qual da limpido ciel su queto lago
Cinto di piante in ermo loco il Sole
Versa sua luce e sua tranquilla imago.
Qui vengon manco al ver le mie parole,
Ch’i’ vidi cose in mezzo a quel fulgore,
Cui dir non può la lingua, e ’l pensier vole.
Vidi distesa piaggia onde ’l colore
E ’l fiorire e ’l gioire e la beltate
M’aprir la mente e dilatarmi ’l core.
Canti s’udian sì dolci che di state
Men caro è sul meriggio in riva a un fiume
Udir gli augelli e l’aure innamorate.
Splendean l’erbette di sì vago lume
Che luccicar men vaghi a la mattina
I rugiadosi prati han per costume.
E la luce era tanta che la brina
Al Sol men chiaro splende, e men raggiante
Splende al Sol bianca neve in piaggia alpina.
Intrecciavansi i raggi tra le piante,
E rifletteansi in onde tanto chiare
Che quel fulgor quaggiù non ha sembiante.
Come se viva lampa a un tratto appare
In tenebrosa stanza, chi v’è drento
Forz’è che ’l lume con la man ripare:
Sì mi vinser que’ raggi in un momento:
Perchè l’umide luci i’ riserrai,
Che ’l poter venne manco a l’ardimento.
E l’Angel disse: mira, ed i’ levai
Lo sguardo un’altra volta, e vidi quanto
Nostra sola virtù non vide mai.
Alme vestite di lucido manto
Ivan per quelle vie del Paradiso,
Sciolte le labbra al sempiterno canto.
Oh che soavi lumi, oh che bel viso,
Oh che dolci atti in quel beato stuolo,
Oh che voci, oh che gioia, oh che sorriso!
Allor mi parve abbandonato e solo
Questo misero mondo, e ’l dolor molto
E ’l piacer nullo in questo basso suolo.
Più ch’astro fiammeggiante era lor volto,
E ’n guisa d’uom che placido si bea,
E’ ’l tenean fermo e tutto in su rivolto.
S’allegrava ’l terren quando ’l premea
Alcun de’ Santi con l’eterno piede,
E ogn’erba da lor tocca più lucea.
Mira de’ Giusti la beata sede,
Mira la patria, mira ’l sommo regno
Cui non cura ’l mortal perchè nol vede.
Or sì lo tristo suol verratti a sdegno,
Disse ’l Celeste, or sì ti saria duro
Drizzar la mente a men beato segno.
O ’ntelletto mortal, come se’ scuro,
Che cerchi morte e duol, per questa terra
Che da doglia e da morte fa sicuro!
Vedi color che ’l santo loco serra
Com’ or son lieti ne l’eterna pace,
Vinta presto quaggiù la mortal guerra.
Mira ’l vate regal che sì ferace
Ebbe di canti sua divina cetra,
E tra gli altri lassuso or già non tace.
Vedi ’l magno Alighier che sopra l’etra
Ricordasi ch’ascese un’altra volta,
E del dir vostro pose la gran pietra.
E vedi quel vicin ch’anco s’ascolta
Lagnarsi che la mente al mondo tristo
Ebbe a cosa mortal troppo rivolta.
Mira colui che lagrimar fu visto
Tutta sua vita, e or di suo pianto ha ’l frutto,
E cantò l’armi e ’l glorioso acquisto.
Oh dolce pianto, oh fortunato lutto,
Oh vento che ’l nocchier sospinse al porto
U’ nol conturba più vento nè flutto!
I’ stava in quella vista tutto assorto
Quando repente correr come strale
Un lampo vidi da l’occaso a l’orto.
Allor per l’aria tutta batter l’ale
Rugghiando i quattro venti, e ’l tuon mugghiare
Dal boreal deserto al polo australe,
E sbattersi da lungi e dicrollare
Lor cime i monti, e dal profondo seno
Metter continuo cupo ululo il mare,
E l’aria farsi roggia in un baleno
Come le nubi a sera in occidente,
E sotto a’ piedi ansando ir lo terreno,
E ’l ruscel che venuto era torrente,
Spumar fumar con alto gorgoglìo
Sì come in vaso al foco onda bollente.
Quando con suon vastissimo s’aprio
In mezzo al santo loco il ciel più addrento,
E allor cademmo al suol l’Angelo ed io.
E tra sua luce sopra ’l firmamento
Apparve Cristo e avea la Madre al fianco,
E tutto tacque e stette in quel momento.
Così smarrissi lo ’ntelletto stanco
Quando l’Angel mi fe’ levar lo viso,
Che ’n lo membrar la voce e ’l cor vien manco.
Vidi Cristo, e non sono in Paradiso?
E Maria vidi, e ’n terra anco mi veggio?
E vidi ’l cielo, e altrui pur lo diviso?
O Cristo, o Madre, o sempiterno seggio
U’ celeste si fa nostra natura,
Che narrar di voi posso e che dir deggio?
T’allegra omai, che tua stagion matura,
Disse lo Spirto, e sei presso a la sede
Ove letizia eternamente dura.
Cristo e la Madre vede, e sol non vede
Tuo mortal guardo quel che veder mai
Non può da questo mondo altro che fede.
Quella nube tel cela da’ cui rai
Lo fiammeggiar di cento Soli è vinto,
Dove pur di mirar forza non hai.
Dico la somma Essenza inver cui spinto
È dal cor suo ma ch’a mirar non basta
Uom da suo corpo a questa terra avvinto.
Conto t’è ’l mondo omai, conta la vasta
Solitudin terrena ov’uomo ad uomo
Ed a se stesso ed a suo ben contrasta.
Vedesti i frutti del piagnevol pomo,
E ’l cercar gioia che ’n dolor si muta,
E le vane speranze e ’l van rinomo:
Come dietro ad Error sen va perduta
Tanta misera gente, e come tanti
Visser per Fama di cui Fama è muta.
Vedesti i feri guai vedesti i pianti
Che reca armato chi ragion non prezza,
E i crudi giochi e i luttuosi vanti.
Che far nel mondo vostro dove spezza
Sue leggi e suo dover lo rege ei pure,
E misero diviene in tant’altezza,
Se non cercar del cielo ove sicure
Son l’alme dal furor de la tempesta,
E tema è morta e le roventi cure?
E lo ciel ti si dona. Omai t’appresta,
Che veduto non hai sogni nè larve:
Certa e verace vision fu questa.
Presso è ’l dì che morrai. Qui tutto sparve.