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Giovanni Berchet
Clarina
ROMANZA
Sotto i pioppi della Dora,
Dove l’onda è più romita,
Ogni dì, su l’ultim’ora,
S’ode un suono di dolor. —
È Clarina, a cui la vita
Rodon l’ansie dell’amor.
Poveretta! di Gismondo
Piange i stenti, a lui sol pensa. —
Fuggitivo, vagabondo
Pena il misero i suoi dì;
Mentre assunto a regal mensa
Ride il vile che il tradì. —
Già mature nel tuo seno,
Bella Italia, fremean l’ire;
Sol mancava, il dì sereno
Della speme; — e Dio ’l creò:
Di tre secoli il desire
Il volere Ei ti cangiò.
Oh ventura! e allo Straniero,
Che il piè grava sul tuo collo,
Pose il buio nel pensiero,
La paura dentro il cor;
Come vittima segnollo
Al tuo vindice rancor.
Gridò l’onta del servaggio:
Siam fratelli; all’arme! all’arme!
Giunta è l’ora in cui l’oltraggio
Denno i Barbari scontar.
Suoni Italia in ogni carme
Dal Cenisio infino al mar.
— Tutti unisca una bandiera —
Fu il clamore delle squadre,
D’ogni pio fu la preghiera,
D’ogni savio fu il voler;
D’ogni sposa d’ogni madre
Fu de’ palpiti il primier. —
E Clarina al suo diletto
Cinse il brando; e tricolore
La coccarda su l’elmetto
Di sua man gli collocò:
Poi soffusa di rossore,
Con un bacio il congedò.
Ma indiscreta sul bel volto
Una lagrima pur scese: —
Ei la vide; e al ciel rivolto
Diè un sospiro e impallidì: —
E la vergine cortese
Il guerriero inanimì:
« Fermi sieno i nostri petti;
Questo il giorno è dell’onore:
Senza infamia a molli affetti
Ceder oggi non puoi tu.
Ah! che giova anco l’amore
Per chi freme in servitù?
Va, Gismondo e qual ch’io sia,
non por mente alle mie pene.
Una patria avevi in pria
Che donassi a me il tuo cor:
Rompi a lei le sue catene,
Poi t’inebria dell’amor.
Va, combatti; — e nei perigli
Pensa, o caro, al dì remoto
Quando, assiso in mezzo ai figli,
Tu festoso potrai dir:
Questo brando a lei devoto,
Tolse Italia dal servir.» —
Poveretta! — E tutto sparve!
I patiboli, le scuri
Di sua mente or son le larve,
La fallita Libertà,
L’armi estranei, i re spergiuri,
E d’Alberto la viltà.
Lui sospinto avea il suo fato
Su la via de’ gloriosi;
Ma un infame oh sciagurato
Ne preferse; e in mano ai re
Diè la patria, e i generosi
Che in lui posta avean la fè.
Esecrato, o Carignano,
Va il tuo nome in ogni gente!
Non v’è clima sì lontano
Ove il tedio, lo squallor,
La bestemmia d’un fuggente
Non ti annunzi traditor.
E qui in riva della Dora
Questa vergine infelice,
Questo lutto che le sfiora
Gli anni, il senno e la beltà,
Su l’esosa tua cervice
Grida sangue — e sangue avrà.
Qui Gismondo il dì fatale,
Scansò l’ira de’ tiranni;
Di qui mosse; — e il tristo vale
Qui Clarina a lui gemè;
E qui a pianger vien gli affanni
Dell’amante che perdè.
Più fermezza di consiglio
Ahi! non ha la dolorosa.
Fra le angustie dell’esiglio
Lunge lunge il suo pensier
Va perduto senza posa
Dietro i passi del guerrier.