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Giovanni Marchetti
In morte del conte Giulio Perticari
Quanto di basse voglie
D’ignoranza e d’errori alto la faccia
Tiene, e ’l secol minaccia,
S’ allegri e segua a ringraziar fortuna:
Ma dovunque s’accoglie
Dell’antico valor favilla alcuna,
Degno ben è ch’ivi risuoni il pianto.
Oimè! rotto è quel santo
Lauro, di che già tanto si compiacque
II disfiorato italico giardino;
Dopo breve cammino
Secco è quel puro fiume, onde men chiaro
Parve il nume gentil da le bell’acque;
Caduto è il vivo tempio, in cui riparo
Ogni ardente virtude avea pur dianzi:
E parton Morte e Gloria i sacri avanzi.
Disparito è colui,
Ch’ove intelletto uman rado pervenne
S’ergea con forti penne:
E la comun speranza, che si già
Testè dinanzi a lui
Lieta volando, a mezzo della via
Vedova sconsolata indietro torna.
Ahi! che più non aggiorna
(Dice) il novello lume ch’io vedea
Presso a raggiar da quell’eccelsa mente,
E far chiari alla gente
I bei costumi, ond’eri, o dolce madre,
Non serva donna, ma regina e dea.
Ahi! di qual ben, di quante alte e leggiadre
Cose il pensare e l’aspettar vien manco;
Ch’io non so quando il cielo in noi sia stanco.
E mentre, sospirando,
Il viso di pietà già molle al petto
Inchina, un giovinetto
Tutto vestito di color di foco
Sopravvien lacrimando,
E grida: Io sono Amor del natio loco,
Che sì mirabilmente a lui m’appresi;
lo la sua luce incesi,
Io lo scorsi per vie ardue e diverse
A dar di sè maravigliosi esempi,
Sì che a mirar ne’ tempi,
Già gloriosi di parole ornate
E di sensi magnanimi, converse
Gli occhi di questa mal condotta etate,
Cui non invan le antiche opre fur conte;
E men vergogna le gravò la fronte.
O di noi degni e cari
Ragionamenti, o bei desiri, o speme
Cui ci levammo insieme,
O nostro meditar tanto e sì vano!
In questo dir gli amari
Passi riprende, e dolce oltre uso umano
Mestissima armonia per l’aere suona.
O italico Elicona,
Non altrimenti, credo, lamentavi
Lo dì che avvolta in un fiorito nembo
Del tuo diletto Bembo
L’inclita vita si ridusse in cielo:
E intorbidò tuo fonte le soavi
Linfe, e pe’ sacri margini ogni stelo
Cadde, e s’udia: Morte, il miglior ne pigli;
Oh quanto è lungi ancor chi lui somigli!
Spirto, a sì tarda e bassa
Stagion serbato, or chi tuo lume asconde
A noi? Perchè là, donde
Tardi venuto se’, ratto se’ corso?
Benigno astro, che passa
Velocemente, ma nel breve corso
Pur quanto può di sua virtù ne piove;
Deh per le prime e nove
Dolcezze di quel guardo che girasti
A cercar Dante per l’eterne rote,
Se mortal cosa or puote
In te, già duce a’ la più nobil guerra,
Che il retto, il vero, e ’l comun bene amasti,
Vedi quanto di te rimansi in terra
Disio: pon mente a tue sovrane lodi;
E in un del cielo e di quaggiù ti godi.
Canzon, come tu piangi,
Così pianger vedrai
Tutte dinanzi a’ te le tue sorelle.
Non ti maravigliar: nemiche stelle
Questa superba in pria del mondo parte
Disertar sì, che omai
Non più di cetre o trombe
L’usato suon, ma il piangere è nostr’arte,
E nostra gloria son ruine e tombe.