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Giovanni Pascoli
Elegie
I
Vorrei morire, esser morto vorrei,
ma lontano lontano di qui:
nel breve campo ove dormono i miei
ove canta, tra i pioppi, il Luì.
So che un soave dormir sarà il mio,
so che il mio sarà un dolce sognar:
udrò la guazza con vasto brusio
sulle acacie odorose crosciar.
E sognerò nella notte serena
che mi vengono amici a veder;
che fruscia e stride il trifoglio e l’avena
per migliaia di passi legger.
Sotto le stelle non son margherite
che fan tutto lo spiazzo albeggiar:
sono fanciulle di bianco vestite
e le sento parlare e cantar... :
parlano, cantano, danzano in volta
e hanno tutte una face alle mani;
non sono lucciole ch’ardon la folta
siepe, e vento che scuote gli ontani:
parlano e cantano cose d’amore,
fiori colgono, aspettano il dì:
i canti sono che pensa il mio cuore,
sono i fior che il mio sangue nutrì.
II
Si specchiano stelle serene
sul piano inquieto dell’onda;
ne vengono al sommo nereidi e sirene
e in fila s’avventano verso la sponda.
Non hanno le gracili ondine,
le rosee sirene non hanno
sui corpi di neve le vesti azzurrine,
e stridono e gemono, e vengono e vanno.
Le stelle contemplano. Nera
da un lato del curvo orizzonte
di nugoli torbidi viene una schiera
con carri, che splendono e tonano in fronte.
Dell’orrida torma dei venti
la pesta pel cielo rimbomba:
si spargono a mare tritoni fuggenti
con ululi lunghi con suoni di tromba.