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Giovanni Verga
Una capanna e il tuo cuore
La capanna stavolta era l'Albergo della Stella. Quando vi giunsi, fra quelle quattro case arrampicate in cima al monte, dopo una giornata afosa nelle bassure della zolfara, mi parve di essere davvero nelle stelle, all’ombra della tettoia sgangherata che faceva da angiporto.
- Una stanza? - uscì a dire l’ostessa asciugandosi il sugo di pomidoro dalle braccia. - Ma ci abbiamo tutta la compagnia.
- Oh!
- Sicuro, quella delle operette. Però, se si contenta della mia... -
Passando pel baraccone tutto scompartimenti come una stalla, vidi infatti una bella giovane che si rizzò lesta dal tavolato dov’era distesa, e mi salutò arrossendo un poco anche sotto il rossetto della sera innanzi.
Dovetti accontentarmi, poiché non ci era altro, della stamberga con tanto di letto matrimoniale dell’ostessa, e mentre essa apparecchiava un po’ di tavola «per quel che c’era», si udì un baccano dalla parte della compagnia.
- È la lavandaia che viene a fare le solite scenate, - disse l’ostessa. - Gente senza educazione. Ora vo a dire che ci sono dei forestieri -.
Ma fu inutile, e il diavoleto peggio di prima. Appena fui seduto per mandar giù «un po’ di quel che c’era», comparve sull’uscio la ragazza della compagnia.
- Scusi. Avrebbe, per caso, due lire e settantacinque di spiccioli, in piacere?
- Ecco.
- Grazie. Ora torno -.
Tornò infatti, collo stesso risolino di palcoscenico. - Che vuole? Scusi tanto. I nostri comici sono tutti fuori. Appena tornano...
- Oh, faccia a suo comodo.
- Buon appetito allora - disse sorridendo anche al piatto che recava l’ostessa.
- E a lei pure, giacché vedo ch’è l’ora...
- Oh, noi... I nostri uomini sono stati invitati a fare una scampagnata dai signori del paese...
- Se vuol favorire dunque...
- Anzi... Molto gentile. Se permette, lo dico anche alla mia amica ch’è napoletana e le piacciono tanto gli spaghetti.
- Tanto piacere anche la sua amica napoletana -.
L’ostessa non se lo fece neanche dire e tornò indietro per gli altri spaghetti. La napoletana si fece pregare un po’, di là, ma venne lei pure, col salutino del pubblico.
- Il nostro soprano. Una voce! Dovrebbe venire a sentirci, domani sera.
- Domani sera spero di essere a casa mia, finalmente.
- Peccato! Qui non si recita che il sabato e la domenica sera, perché gli altri giorni il nostro pubblico è occupato nelle zolfare - .
Il soprano, più contegnoso, si occupava a mandar giù gli spaghetti in punta di forchetta, quasi fosse già il sabato o la domenica sera, dinanzi al pubblico .
- Una vera diva!... E vederla in costume, con quel décolleté!... - La diva protestò levando su la forchetta col gomitolo di spaghetti, o per poca modestia, o perché il décolleté non fosse troppo in bella vista.
- Eh, che male c’è se gli uomini hanno occhi per vedere... e mandar giù le platee?... È vero, sì o no? Ditelo anche voi -.
Voltandomi, vidi sull’uscio altri visetti che dicevano già di sì, in attesa pur esse.
- Venite, venite anche voi. Il signore è così gentile... -
E naturalmente venne anche l’ostessa, carica d’altri piatti.
- La signorina Fides, mezzo soprano. - La signorina Vanda, contralto. - La signorina Ines, contraltino, che al bisogno fa le parti d’amoroso. Come vede i nostri uomini ci lasciano a trarci d’imbarazzo anche nelle parti d’amoroso.
- Vedremo se ci portano almeno dei fiori dalla loro scampagnata.
- Quelli sì, perché non si mangiano.
- Che delizia! - sospirò allora la diva. - Che paesaggi avete da queste parti... sotto questo sole!...
- A chi lo dice!
- No? Non è del paese lei?
- È che l’ho avuto tutto il giorno sulla testa, quel sole! -
Dopo gli spaghetti venne del baccalà, poi delle ova sode, poi del caciocavallo, insomma «un po’ di quel che c’era»», e dei fichi d’India, già bell’e sbucciati dalle mani stesse della locandiera, chi ne volesse. Le artiste dicevano sempre di sì; tanto che dopo i fichi d’India chiesero del cognac.
- Cognac non ce n’è. Abbiamo della menta-sèlse. Ma ora, dopo tavola...
- Non importa. È per fare i brindisi -.
Prima naturalmente a me, ch’ero stato tanto gentile. Poi sfilarono altri nomi e altri ricordi, che brillarono un istante in quegli occhietti lustri.
- A te!... Sempre! - A quella prima notte... di luna!...
- Tutta roba passata! - sentenziò la stella napoletana. - Tout passe, tout lasse, tout casse... - E volle anche spiegare il suo francese alle compagne che sgranavano gli occhi. - Passa via... ti lascio... La canzone finisce sempre così.
- Sempre, no. Tu lo sai bene... - Ella si strinse nelle spalle. - Il tuo avvocato...
- Un avvocato!
- Sissignore! E ha lasciato moglie e figliuoli per venire a fare il suggeritore.
- Un bell’affare! E quella megera s’è permesso anche di venire a farmi le scene, coi suoi mocciosi, in casa mia!
- Poveretti! Bisognava sentirli piangere...
- Al cuore non si comanda, - conchiuse una delle signorine Ines o Fides. - Certo, se si sapesse prima... -
- Prima - il caso - l’incontrarsi in quegli occhi che vi mangiano dalla platea quando vi viene la nota giusta. - Le scioccheriole che vi contano all’uscita dal teatro - la scappatella che sembrava di passaggio, ahimé!... Ciascuna rammentava la sua, in quel momento di vino tenero. Gli occhi ancora umidi, o pei ricordi di prima, o per quelli della scena. - Così, senza saper come, la scioccheriola che mutavasi in duetto serio - o la passatina sotto la finestra che andava a finire nella stanzetta in due. Poi il destarsi a bocca asciutta - o amara - o tra gli sbadigli e i - non mi seccare -, ch’è peggio. - O peggio ancora la farsetta che minaccia di cambiarsi in tragedia... - Come quando si dovette levar le tende in fretta e furia, tutta la compagnia che non c’entrava affatto... E a un pelo di rimborsar gli abbonati per giunta! - conchiuse la signorina Fides.
- Oh, questa poi!...
- Sì, in un paesetto qui vicino, allorché quelli del partito contrario vollero giocare un tiro al sindaco che veniva a fare quattro chiacchiere con una di noi; e una bella notte, quando volle tornare a casa della moglie, gli fecero trovare murata la porta della locanda coi materiali della strada in riparazione. Allora figuriamoci!... -
Essa non aveva fatto alcun nome; ma tutte le altre guardavano sottecchi da una parte, ridendo, però col naso sul piatto. La napoletana che invece aveva il naso in su, rimbeccò subito:
- Tu stai zitta, che di queste disgrazie non ne capitano certo pei tuoi begli occhi al tuo banchiere!
- Anche un banchiere?
- Sì, quello che scopa le tavole -.
Fides scattò inviperita: - Prima di scopare le tavole contava dei bei bigliettoni, quello!
- E te li buttava dietro in fiori per le serate e il braccialetto col sempre d’oro. Per questo dovette fare i conti col principale, che gli sbatté in faccia lo sportello della banca, e te lo lasciò appeso al collo, col sempre del braccialetto! -
Io cercai di mettere qualche buona parola, anzi le loro parole stesse: - Cose che succedono. Se si sapesse prima...
- Prima o poi, quello era un galantuomo e rimase un galantuomo. Povero, ma onorato. Perciò quando me lo vidi comparire dinanzi, con le tasche vuote ma tanto di cuore aperto... ed anche le braccia, mentre mi diceva: «Eccomi... Son qua...».
Ella singhiozzava quasi, col tovagliolo al viso, ripetendo quelle parole, tanto che le amiche le si strinsero intorno a confortarla, e la stessa napoletana volle ricordare come succedono queste cose:
- Si sa. Ogni giorno che veniva, le ariette e i duettini... Una bella seccatura a sentirli mattina e sera...
- Egli aveva una vocetta promettente allora - aggiunse la signorina Vanda.
- E per una disgrazia leggeva anche dei romanzi, tanto che gli pareva vero...
- Io glielo dissi - riprese Fides con gli occhi ancora umidi. - E che vuoi fare adesso? «Son qua... Son qua...». Non sapeva dir altro, con quel viso pallido, e quelle braccia aperte... Anch’io ero là... E mi chiamo Fede... La mano nella mano dunque...
- Ecco! Sino alla prima voltata.
- Voltata no, e neppure corda al collo - rispose Fides con gli occhi adesso asciutti. - Io devo fare l’artista, e non posso voltare le spalle a questo e a quello se mi dicono che piaccio.
- O quando fanno dei regalucci.
- Bisogna mandare avanti la baracca anche -.
Quando gli uomini, a sera, tardi, dopo aver mangiato bene e bevuto meglio tornarono alla capanna ed al cuore, furono liti e questioni invece di fiori e paroline dolci. La vocetta mezzo soprano di Fides che strillava: - Ah, sei stato a far l’assolo? Anch’io ci ho trovato qui per il duetto. Prendi! -
L’avvocato perdeva il suo tempo a perorare di qua e di là, scusando queste e quelli e cercando di metter pace. La napoletana gli sbatté con lo scarpone sul muso:
- Porco! Ci vorrebbero qui i tuoi mocciosi a piangerti per il pane, adesso! -
Me li vidi comparire dinanzi io pure, il giorno dopo; lui con la gota fasciata, a spiegarmi quel che doveva essere stato il po’ di chiasso che forse avevo udito nella notte. Ma la napoletana, ancora imbronciata, tagliò corto:
- Basta, basta. Arrivederci dunque. Il mondo è tondo, e chi non muore si rivede -.
Io non ho più rivisto quegli occhi rapaci e quel décolleté petulante.
Racconti e bozzetti - 1880