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Giuseppe Paolucci
Or che Sirio in Ciel risplende
Or che Sirio in Ciel risplende,
Di quel biondo almo lieo,
Che sì brilla, e d’òr s’accende,
M’empi il nappo, o Alfesibeo.
Ma nò: quel, ch’è del colore
Del rubin, sarà migliore:
Questo io voglio: il nappo pieno
Fammen sì, che n’empia il seno.
Vedi qui come zampilla,
E col sole i raggi mesce:
Io non vuo’ lasciarne stilla,
Tal desio di sè m’accresce:
Beviam dunque: e sia di quella
In onor, ch’è la più bella:
Ecco già, che al labbro io l’ergo,
E le viscere n’aspergo.
Oh di qual nuovo piacere
Sento l’alma inebriarsi!
Empi l’altro, ch’io vuo’ bere,
Finchè tempri il caldo, ond’arsi
Morde, è ver: ma la ferita
A riber più dolce invita.
Oh felice il suol, che dato
N’ha liquor sì nuovo e grato!
Io non so se Giove, e il resto
Della Plebe degli Dei
Ebber mai simile a questo
Dolce nettar, ch’or bevei:
O se pur tal’anche sia
Quell’ambrosia, onde per via
Febo suol le nari e ’l morso
Ai destrier spruzzar nel corso.
E ben sento anch’io nel petto
Nuovo arder crescermi e lena
Ed il sangue al cuor ristretto
Sciolto gir di vena in vena.
Chi mi porge quella Lira?
Chi quei bischeri v’aggira,
Perchè possa indi alle corde
La mia voce unir concorde?
Venga poi Tirsi in tenzone,
O chi fama ha più nel canto,
Ch’io non temo il paragone:
Tale ardir mi siede accanto.
Di Te poi, ch’illustre, e chiaro
Già ten vai d’ogn’altro a paro
Tacerò: ch’i pregi tuoi
Vanti eguale a i primi Eroi.
Dirò ben di lei, che sola
Tutto ha il Bel, che un dì fu in Ida:
E ad ogni altra il pregio invola,
Dolce parli, e dolce rida:
Nè sai dir se dardi scocchi
Più dal labbro o da’ begli occhi
Se tai quindi escon piaghe
Crude più, quanto più vaghe.
Or di tante e qual bellezza
Avverrà, che prima io mostri?
Poi chi sa se a tanta altezza
Giungeranno i versi nostri?
Veggio Amor però lontano
Farmi cenno con la mano,
Perchè agli occhi io volga i carmi,
Che fur primi a saettarmi.
O che bel veder quei rai
Quando Amor ne tien governo!
Così Venere giammai
Sfavellar in Ciel non scerno.
Ma che fia, se poi ritrosi
Gli raggira o pur sdegnosi?
Nel mirarli così scuri,
Non v’è cuor che s’assicuri.
Pur sì forte in me s’accende
Il piacer di vagheggiarli,
Che maggiore in me si rende
Il desio di celebrarli.
Ma pur temo, e vorrei solo,
Ape industre andarne a volo
Sovra il fior degli altri pregi,
Raccogliendo i più bei fregi.
Labbra tenere, e vezzose,
Vostre lodi or voi ridite,
Giacchè tanta il Ciel ripose
Grazia in voi, qualor v’aprite:
E ben quindi escon parole
Da fermar nel corso il Sole,
Tanto più quanto son use
A parlar coll’alte Muse.
Nè men dolce, o vago è ancora
Quel bel volto, o meno alletta,
Se co’ gigli ivi talora
Suol fiorir la violetta.
Anzi queste son le spoglie,
Ove Amor cela sue voglie:
E tal forse quando ardea
Per Adon fu Citerea.
O bel sen di neve pura,
Delle Grazie albergo, e stanza,
Ove il Ciel pose, e Natura
II più bel d’ogni speranza,
Di lodarvi in me non manca
Il voler, nè voglia ho stanca;
Ma mi turban quei severi,
Ch’ascondete, alti pensieri.
Quei pensier, ch’io veggio accesi
Ne i bei rai d’aspro talento,
A ribatter forse intesi
La baldanza e l’ardimento:
Tal però non è disdegno,
Nè rigor, ma solo è segno,
Che vorrian ristretto un cuore
Fra speranza e fra timore.
Neri crin, s’ultimi andate
Fra le lodi, e ’l canto mio,
Non è già, perchè voi siate
Meno cari al mio desìo.
So, ch’il biondo è bel, ma poi
Anche il nero ha i pregi suoi;
Belle sono in Ciel le Stelle,
Perchè l’ombre le fan belle.
Non v’è crin, che non diffonda
Quel fulgor, che all’òr simiglia,
Talchè treccia aurata, e bionda,
Più non reca maraviglia:
Bianco volto, e capei bruni
Non son fregi sì comuni:
E quaggiù quanto bellezza
Rara è più, vie più s’apprezza.
Non fu già vanto volgare
Della Giovane Amiclèa
Bruna chioma, ch’alle rare
Sue bellezze aggiunta avea:
Con quei crini Amor più forte
Formò i nodi a sue ritorte:
E veder ne fè le pruove,
Quando prese, e avvinse Giove.
Ma tu bevi, e a me che roco
Già son fatto, più non pensi!
Di quell’altro or dammi un poco,
Che stillar l’uve Cretensi:
Vuo’ veder se sia bastante
Quell’ambrifoco spumante
A far sì, ch’io poi senz’ale
Spieghi un volo alto immortale.