Edizione Italiana
    Library / Literary Works

    Giuseppe Parini

    Il pericolo

    In vano in van la chioma
    Deforme di canizie,
    E l’anima già doma
    Dai casi, e fatto rigido
    Il senno dall’età,

    Si crederà che scudo
    Sien contro ad occhi fulgidi
    A mobil seno a nudo
    Braccio e all’altre terribili
    Arme della beltà.

    Gode assalir nel porto
    La contumace Venere;
    E, rotto il fune e il torto
    Ferro, rapir nel pelago
    Invecchiato nocchier;

    E per novo periglio
    Di tempeste, all’arbitrio
    Darlo del cieco figlio,
    Esultando con perfido
    Riso del suo poter.

    Ecco me di repente,
    Me stesso, per l’undecimo
    Lustro di già scendente,
    Sentii vicino a porgere
    Il piè servo ad amor:

    Benchè gran tempo al saldo
    Animo in van tentassero
    Novello eccitar caldo
    Le lusinghiere giovani
    Di mia patria splendor.

    Tu dai lidi sonanti
    Mandasti, o torbid’Adria,
    Chi sola de gli amanti
    Potea tornarmi a i gemiti
    E al duro sospirar;

    Donna d’incliti pregi
    Là fra i togati principi,
    Che di consigli egregi
    Fanno l’alta Venezia
    Star libera sul mar.

    Parve a mirar nel volto
    E ne le membra Pallade,
    Quando, l’elmo a sè tolto,
    Fin sopra il fianco scorrere
    Si lascia il lungo crin:

    Se non che a lei dintorno
    Le volubili grazie
    Dannosamente adorno
    Rendeano ai guardi cupidi
    L’almo aspetto divin.

    Qual, se parlando, eguale
    A gigli e rose il cubito
    Molle posava? Quale,
    Se improvviso la candida
    Mano porgea nel dir?

    E a le nevi del petto,
    Chinandosi da i morbidi
    Veli non ben costretto,
    Fiero dell’alme incendio!
    Permetteva fuggir?

    In tanto il vago labro,
    E di rara facondia
    E d’altre insidie fabro,
    Gìa modulando i lepidi
    Detti nel patrio suon.

    Che più? Da la vivace
    Mente lampi scoppiavano
    Di poetica face,
    Che tali mai non arsero
    L’amica di Faon;

    Nè quando al coro intento
    De le fanciulle Lesbie
    L’errante vïolento
    Per le midolle fervide
    Amoroso velen;

    Nè quando lo interrotto
    Dal fuggitivo giovane
    Piacer cantava, sotto
    A la percossa cetera
    Palpitandole il sen.

    Ahimè quale infelice
    Giogo era pronto a scendere
    Su la incauta cervice,
    S’io nel dolce pericolo
    Tornava il quarto dì!

    Ma con veloci rote
    Me, quantunque mal docile,
    Ratto per le remote
    Campagne il mio buon Genio
    Opportuno rapì.

    Tal che in tristi catene
    Ai garzoni ed al popolo
    Di giovanili pene
    Io canuto spettacolo
    Mostrato non sarò.

    Bensì, nudrendo il mio
    Pensier di care immagini,
    Con soave desìo
    Intorno all’onde Adriache
    Frequente volerò.




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