Edizione Italiana
    Library / Literary Works

    Giuseppe Parini

    L'innesto del vaiuolo

    Al dottore Giammaria Bicetti De’ Buttinoni


    O Genovese ove ne vai? qual raggio
    Brilla di speme su le audaci antenne?
    Non temi oimè le penne
    Non anco esperte degli ignoti venti?
    Qual ti affida coraggio
    All’intentato piano
    De lo immenso oceano?
    Senti le beffe dell’Europa, senti
    Come deride i tuoi sperati eventi.

    Ma tu il vulgo dispregia. Erra chi dice,
    Che natura ponesse all’uom confine
    Di vaste acque marine,
    Se gli diè mente onde lor freno imporre:
    E dall’alta pendice
    Insegnolli a guidare
    I gran tronchi sul mare,
    E in poderoso canape raccorre
    I venti, onde su l’acque ardito scorre.

    Così l’eroe nocchier pensa, ed abbatte
    I paventati d’Ercole pilastri;
    Saluta novelli astri;
    E di nuove tempeste ode il ruggito.
    Veggon le stupefatte
    Genti dell’orbe ascoso
    Lo stranier portentoso.
    Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito
    All’Europa, che il beffa ancor sul lito.

    Più dell’oro, BICETTI, all’Uomo è cara
    Questa del viver suo lunga speranza:
    Più dell’oro possanza
    Sopra gli animi umani ha la bellezza.
    E pur la turba ignara
    Or condanna il cimento,
    Or resiste all’evento
    Di chi ’l doppio tesor le reca; e sprezza
    I novi mondi al prisco mondo avvezza.

    Come biada orgogliosa in campo estivo,
    Cresce di santi abbracciamenti il frutto.
    Ringiovanisce tutto
    Nell’aspetto de’ figli il caro padre;
    E dentro al cor giulivo
    Contemplando la speme
    De le sue ore estreme,
    Già cultori apparecchia artieri e squadre
    A la patria d’eroi famosa madre.

    Crescete o pargoletti: un dì sarete
    Tu forte appoggio de le patrie mura,
    E tu soave cura,
    E lusinghevol’ esca ai casti cori.
    Ma, oh dio, qual falce miete
    De la ridente messe
    Le sì dolci promesse?
    O quai d’atroce grandine furori
    Ne sfregiano il bel verde e i primi fiori?

    Fra le tenere membra orribil siede
    Tacito seme: e d’improvviso il desta
    Una furia funesta
    De la stirpe degli uomini flagello.
    Urta al di dentro, e fiede
    Con lièvito mortale;
    E la macchina frale
    O al tutto abbatte, o le rapisce il bello,
    Quasi a statua d’eroe rival scarpello.

    Tutti la furia indomita vorace
    Tutti una volta assale ai più verd’anni:
    E le strida e gli affanni
    Dai tugurj conduce a’ regj tetti;
    E con la man rapace
    Ne le tombe condensa
    Prole d’uomini immensa.
    Sfugge taluno è vero ai guardi infetti;
    Ma palpitando peggior fato aspetti.

    Oh miseri! che val di medic’ arte
    Nè studj oprar nè farmachi nè mani?
    Tutti i sudor son vani
    Quando il morbo nemico è su la porta;
    E vigor gli comparte
    De la sorpresa salma
    La non perfetta calma.
    Oh debil’ arte, oh mal secura scorta,
    Che il male attendi, e no ’l previeni accorta!

    Già non l’attende in orïente il folto
    Popol che noi chiamiam barbaro e rude;
    Ma sagace delude
    Il fiero inevitabile demòne.
    Poichè il buon punto ha colto
    Onde il mostro conquida,
    Coraggioso lo sfida;
    E lo astrigne ad usar ne la tenzone
    L’armi, che ottuse tra le man gli pone.

    Del regnante velen spontaneo elegge
    Quel ch’è men tristo; e macolar ne suole
    La ben amata prole,
    Che non più recidiva in salvo torna.
    Però d’umano gregge
    Va Pechino coperto;
    E di femmineo merto
    Tesoreggia il Circasso, e i chiostri adorna
    Ove la Dea di Cipri orba soggiorna.

    O Montegù, qual peregrina nave,
    Barbare terre misurando e mari,
    E di popoli varj
    Diseppellendo antiqui regni e vasti,
    E a noi tornando grave
    Di strana gemma e d’auro,
    Portò sì gran tesauro,
    Che a pareggiare non che a vincer basti
    Quel, che tu dall’Eussino a noi recasti?

    Rise l’Anglia la Francia Italia rise
    Al rammentar del favoloso Innesto:
    E il giudizio molesto
    De la falsa ragione incontro alzosse.
    In van l’effetto arrise
    A le imprese tentate;
    Chè la falsa pietate
    Contro al suo bene e contro al ver si mosse,
    E di lamento femminile armosse.

    Ben fur preste a raccor gl’infausti doni
    Che, attraversando l’oceàno aprico,
    Lor condusse Americo;
    E ad ambe man li trangugiaron pronte.
    De’ lacerati troni
    Gli avanzi sanguinosi,
    E i frutti velenosi
    Strinser gioiendo; e da lo stesso fonte
    De la vita succhiar spasimi ed onte.

    Tal del folle mortal tale è la sorte:
    Contra ragione or di natura abusa;
    Or di ragion mal usa
    Contra natura che i suoi don gli porge.
    Questa a schifar la morte
    Insegnò madre amante
    A un popolo ignorante;
    E il popol colto, che tropp’alto scorge,
    Contro ai consigli di tal madre insorge.

    Sempre il novo, ch’è grande, appar menzogna,
    Mio BICETTI, al volgar debile ingegno:
    Ma imperturbato il regno
    De’ saggi dietro all’utile s’ostina.
    Minaccia nè vergogna
    No ’l frena, no ’l rimove;
    Prove accumula a prove;
    Del popolare error l’idol rovina,
    E la salute ai posteri destina.

    Così l’Anglia la Francia Italia vide
    Drappel di saggi contro al vulgo armarse.
    Lor zelo indomit’ arse,
    E di popolo in popolo s’accese.
    Contro all’armi omicide
    Non più debole e nudo;
    Ma sotto a certo scudo
    Il tenero garzon cauto discese,
    E il fato inesorabile sorprese.

    Tu sull’orme di quelli ardito corri
    Tu pur, BICETTI; e di combatter tenta
    La pietà violenta
    Che a le Insubriche madri il core implica.
    L’umanità soccorri;
    Spregia l’ingiusto soglio
    Ove s’arman d’orgoglio
    La superstizïon del ver nemica,
    E l’ostinata folle scola antica.

    Quanta parte maggior d’almi nipoti
    Coltiverà nostri felici campi!
    E quanta fia che avvampi
    D’industria in pace o di coraggio in guerra!
    Quanta i soavi moti
    Propagherà d’amore,
    E desterà il languore
    Del pigro Imene, che infecondo or erra
    Contro all’util comun di terra in terra!

    Le giovinette con le man di rosa
    Idalio mirto coglieranno un giorno:
    All’alta quercia intorno
    I giovinetti fronde coglieranno;
    E a la tua chioma annosa,
    Cui per doppio decoro
    Già circonda l’alloro,
    Intrecceran ghirlande, e canteranno:
    Questi a morte ne tolse o a lungo danno.

    Tale il nobile plettro infra le dita
    Mi profeteggia armonïoso e dolce,
    Nobil plettro che molce
    Il duro sasso dell’umana mente;
    E da lunge lo invita
    Con lusinghevol suono
    Verso il ver, verso il buono;
    Nè mai con laude bestemmiò nocente
    O il falso in trono o la viltà potente.


    Odi




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