Edizione Italiana
    Library / Literary Works

    Giuseppe Parini

    La educazione

    Torna a fiorir la rosa
    Che pur dianzi languìa;
    E molle si riposa
    Sopra i gigli di pria.
    Brillano le pupille
    Di vivaci scintille.

    La guancia risorgente
    Tondeggia sul bel viso:
    E quasi lampo ardente
    Va saltellando il riso
    Tra i muscoli del labro
    Ove riede il cinabro.

    I crin, che in rete accolti
    Lunga stagione ahi foro,
    Su l’omero disciolti
    Qual ruscelletto d’oro
    Forma attendon novella
    D’artificiose anella.

    Vigor novo conforta
    L’irrequieto piede:
    Natura ecco ecco il porta
    Sì che al vento non cede
    Fra gli utili trastulli
    De’ vezzosi fanciulli.

    O mio tenero verso
    Di chi parlando vai,
    Che studj esser più terso
    E polito che mai?
    Parli del giovinetto
    Mia cura e mio diletto?

    Pur or cessò l’affanno
    Del morbo ond’ei fu grave:
    Oggi l’undecim’ anno
    Gli porta il sol, soave
    Scaldando con sua teda
    I figliuoli di Leda.

    Simili or dunque a dolce
    Mele di favi Iblèi,
    Che lento i petti molce,
    Scendete o versi miei
    Sopra l’ali sonore
    Del giovinetto al core.

    O pianta di bon seme
    Al suolo al cielo amica,
    Che a coronar la speme
    Cresci di mia fatica,
    Salve in sì fausto giorno
    Di pura luce adorno.

    Vorrei di genïali
    Doni gran pregio offrirti;
    Ma chi diè liberali
    Essere ai sacri spirti?
    Fuor che la cetra, a loro
    Non venne altro tesoro.

    Deh perchè non somiglio
    Al Tèssalo maestro,
    Che di Tetide il figlio
    Guidò sul cammin destro!
    Ben io ti farei doni
    Più che d’oro e canzoni.

    Già con medica mano
    Quel Centauro ingegnoso
    Rendea feroce e sano
    Il suo alunno famoso.
    Ma non men che a la salma
    Porgea vigore all’alma.

    A lui, che gli sedea
    Sopra la irsuta schiena,
    Chiron si rivolgea
    Con la fronte serena,
    Tentando in su la lira
    Suon che virtude inspira.

    Scorrea con giovanile
    Man pel selvoso mento
    Del precettar gentile;
    E con l’orecchio intento,
    D’Eacide la prole
    Bevea queste parole:

    Garzon, nato al soccorso
    Di Grecia, or ti rimembra
    Perchè a la lotta e al corso
    Io t’educai le membra.
    Che non può un’alma ardita
    Se in forti membri ha vita?

    Ben sul robusto fianco
    Stai; ben stendi dell’arco
    Il nervo al lato manco,
    Onde al segno ch’io marco
    Va stridendo lo strale
    Da la cocca fatale.

    Ma in van, se il resto oblìo,
    Ti avrò possanza infuso.
    Non sai qual contro a dio
    Fe’ di sue forze abuso
    Con temeraria fronte
    Chi monte impose a monte?

    Di Teti odi o figliuolo
    Il ver che a te si scopre.
    Dall’alma origin solo
    Han le lodevol’ opre.
    Mal giova illustre sangue
    Ad animo che langue.

    D’Èaco e di Pelèo
    Col seme in te non scese
    Il valor che Tesèo
    Chiari e Tirintio rese:
    Sol da noi si guadagna,
    E con noi s’accompagna.

    Gran prole era di Giove
    Il magnanimo Alcide;
    Ma quante egli fa prove,
    E quanti mostri ancide,
    Onde s’innalzi poi
    Al seggio de gli eroi?

    Altri le altere cune
    Lascia o Garzon che pregi.
    Le superbe fortune
    Del vile anco son fregi.
    Chi de la gloria è vago
    Sol di virtù sia pago.

    Onora o figlio il Nume
    Che dall’alto ti guarda:
    Ma solo a lui non fume
    Incenso e vittim’arda.
    È d’uopo Achille alzare
    Nell’alma il primo altare.

    Giustizia entro al tuo seno
    Sieda e sul labbro il vero;
    E le tue mani sieno
    Qual albero straniero,
    Onde soavi unguenti
    Stillin sopra le genti.

    Perchè sì pronti affetti
    Nel core il ciel ti pose?
    Questi a Ragion commetti;
    E tu vedrai gran cose:
    Quindi l’alta rettrice
    Somma virtude elice.

    Sì bei doni del cielo
    No, non celar Garzone
    Con ipocrito velo,
    Che a la virtù si oppone.
    Il marchio ond’è il cor scolto
    Lascia apparir nel volto.

    Da la lor meta han lode
    Figlio gli affetti umani.
    Tu per la Grecia prode
    Insanguina le mani:
    Qua volgi qua l’ardire
    De le magnanim’ ire.

    Ma quel più dolce senso,
    Onde ad amar ti pieghi,
    Tra lo stuol d’armi denso
    Venga, e pietà non nieghi
    Al debole che cade
    E a te grida pietade.

    Te questo ognor costante
    Schermo renda al mendico;
    Fido ti faccia amante
    E indomabile amico.
    Così, con legge alterna
    L’animo si governa.

    Tal cantava il Centauro.
    Baci il giovan gli offriva
    Con ghirlande di lauro.
    E Tetide che udiva,
    A la fera divina
    Plaudìa dalla marina.




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