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Giuseppe Parini
La recita de' versi
Qual fra le mense loco
Versi otterranno, che da nobil vena
Scendano; e all’acre foco
Dell’arte imponga la sottil Camena,
Meditante lavoro,
Che sia di nostra età pregio e decoro?
Non odi alto di voci
I convitati sollevar tumulto,
Che i Centauri feroci
Fa rammentar, quando con empio insulto
All’ospite di liti
Sparsero e guerra i nuzïali riti?
V’ha chi al negato Scaldi
Con gli abeti di Cesare veleggia;
E la vast’onda e i saldi
Muri sprezzati, già nel cor saccheggia
De’ Batavi mercanti
Le molto di tesoro arche pesanti.
A Giove altri l’armata
Destra di fulmin spoglia; ed altri a volo
Sopra l’aria domata
Osa portar novelle genti al polo.
Tal sedendo confida
Ciascuno; e sua ragion fa delle grida.
Vincere il suon discorde
Speri colui che di clamor le folli
Mènadi, allor che lorde
Di mosto il viso balzan per li colli,
Vince; e, con alta fronte,
Gonfia d’audace verso inezie conte.
O gran silenzio intorno
A sè vanti compor Fauno procace,
Se del pudore a scorno
Annunzia carme onde ai profani piace;
Da la cui lubric’arte
Saggia matrona vergognando parte.
Orecchio ama placato
La musa e mente arguta e cor gentile.
Ed io, se a me fia dato
Ordir mai su la cetra opra non vile,
Non toccherò già corda
Ove la turba di sue ciance assorda.
Ben de’ numeri miei
Giudice chiedo il buon cantor, che destro
Volse a pungere i rei
Di Tullio i casi; ed or, novo maestro
A far migliori i tempi,
Gli scherzi usa del Frigio e i propri esempj.
O te Paola, che il retto
E il bello atta a sentir formaro i Numi;
Te, che il piacer concetto
Mostri dolce intendendo i duo bei lumi,
Onde spira calore
Soavemente periglioso al core.