Edizione Italiana
    Library / Literary Works

    Giuseppe Parini

    La salubrità dell'aria

    Oh beato terreno
    Del vago EUPILI mio,
    Ecco al fin nel tuo seno
    M’accogli; e del natìo
    Aere mi circondi;
    E il petto avido inondi.

    Già nel polmon capace
    Urta sè stesso e scende
    Quest’etere vivace,
    Che gli egri spirti accende,
    E le forze rintegra,
    E l’animo rallegra.

    Però ch’austro scortese
    Quì suoi vapor non mena:
    E guarda il bel paese
    Alta di monti schiena,
    Cui sormontar non vale
    Borea con rigid’ ale.

    Nè quì giaccion paludi,
    Che dall’impuro letto
    Mandino a i capi ignudi
    Nuvol di morbi infetto:
    E il meriggio a’ bei colli
    Asciuga i dorsi molli.

    Pera colui che primo
    A le triste ozïose
    Acque e al fetido limo
    La mia cittade espose;
    E per lucro ebbe a vile
    La salute civile.

    Certo colui del fiume
    Di Stige ora s’impaccia
    Tra l’orribil bitume,
    Onde alzando la faccia
    Bestemmia il fango e l’acque,
    Che radunar gli piacque.

    Mira dipinti in viso
    Di mortali pallori
    Entro al mal nato riso
    I languenti cultori;
    E trema o cittadino,
    Che a te il soffri vicino.

    Io de’ miei colli ameni
    Nel bel clima innocente
    Passerò i dì sereni
    Tra la beata gente,
    Che di fatiche onusta
    È vegeta e robusta.

    Quì con la mente sgombra,
    Di pure linfe asterso,
    Sotto ad una fresc’ ombra
    Celebrerò col verso
    I villan vispi e sciolti
    Sparsi per li ricolti;

    E i membri non mai stanchi
    Dietro al crescente pane;
    E i baldanzosi fianchi
    De le ardite villane;
    E il bel volto giocondo
    Fra il bruno e il rubicondo,

    Dicendo: Oh fortunate
    Genti, che in dolci tempre
    Quest’aura respirate
    Rotta e purgata sempre
    Da venti fuggitivi
    E da limpidi rivi.

    Ben larga ancor natura
    Fu a la città superba
    Di cielo e d’aria pura:
    Ma chi i bei doni or serba
    Fra il lusso e l’avarizia
    E la stolta pigrizia?

    Ahi non bastò che intorno
    Putridi stagni avesse;
    Anzi a turbarne il giorno
    Sotto a le mura stesse
    Trasse gli scelerati
    Rivi a marcir su i prati

    E la comun salute
    Sagrificossi al pasto
    D’ambizïose mute,
    Che poi con crudo fasto
    Calchin per l’ampie strade
    Il popolo che cade.

    A voi il timo e il croco
    E la menta selvaggia
    L’aere per ogni loco
    De’ varj atomi irraggia,
    Che con soavi e cari
    Sensi pungon le nari.

    Ma al piè de’ gran palagi
    Là il fimo alto fermenta;
    E di sali malvagi
    Ammorba l’aria lenta,
    Che a stagnar si rimase
    Tra le sublimi case.

    Quivi i lari plebei
    Da le spregiate crete
    D’umor fracidi e rei
    Versan fonti indiscrete;
    Onde il vapor s’aggira;
    E col fiato s’inspira.

    Spenti animai, ridotti
    Per le frequenti vie,
    De gli aliti corrotti
    Empion l’estivo die:
    Spettacolo deforme
    Del cittadin su l’orme!

    Nè a pena cadde il sole
    Che vaganti latrine
    Con spalancate gole
    Lustran ogni confine
    De la città, che desta
    Beve l’aura molesta.

    Gridan le leggi è vero;
    E Temi bieco guata:
    Ma sol di sè pensiero
    Ha l’inerzia privata.
    Stolto! E mirar non vuoi
    Ne’ comun danni i tuoi?

    Ma dove ahi corro e vago
    Lontano da le belle
    Colline e dal bel lago
    E dalle villanelle,
    A cui sì vivo e schietto
    Aere ondeggiar fa il petto?

    Va per negletta via
    Ognor l’util cercando
    La calda fantasìa,
    Che sol felice è quando
    L’utile unir può al vanto
    Di lusinghevol canto.




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