Edizione Italiana
    Library / Literary Works

    Giuseppe Parini

    Per l'inclita Nice

    Quando novelle a chiedere
    Manda l’Inclita Nice
    Del piè, che me costrignere
    Suole al letto infelice,
    Sento repente l’intimo
    Petto agitarsi del bel nome al suon.

    Rapido il sangue fluttua
    Ne le mie vene: invade
    Acre calor le trepide
    Fibre: m’arrosso: cade
    La voce: ed al rispondere
    Util pensiero in van cerco e sermon.

    Ride, cred’io, partendosi
    Il messo. E allor soletto
    Tutta vegg’ io, con l’animo
    Pien di novo diletto,
    Tutta di lei la immagine
    Dentro a la calda fantasìa venir.

    Ed ecco ed ecco sorgere
    Le delicate forme
    Sovra il bel fianco; e mobili
    Scender con lucid’orme,
    Che mal può la dovizia
    Dell’ondeggiante al piè veste coprir.

    Ecco spiegarsi e l’omero
    E le braccia orgogliose,
    Cui di rugiada nudrono
    Freschi ligustri e rose,
    E il bruno sottilissimo
    Crine, che sovra lor volando va:

    E quasi molle cumulo
    Crescer di neve alpina
    La man, che ne le floride
    Dita lieve declina,
    Cara de’ baci invidia,
    Che riverenza contener poi sa.

    Ben puoi ben puoi tu rigido
    Di bel pudor costume,
    Che vano ami dell’avide
    Luci render l’acume,
    Altre involar delizie,
    Immenso intorno a lor volgendo vel:

    Ma non celar la grazia
    Nè il vezzo, che circonda
    Il volto affatto simile
    A quel de la gioconda
    Ebe, che nobil premio
    Al magnanimo Alcide è data in ciel.

    Nè il guardo, che dissimula
    Quanto in altrui prevale;
    E volto poi con subito
    Impeto i cori assale,
    Qual Parto sagittario,
    Che più certi fuggendo i colpi ottien.

    Nè i labbri or dolce tumidi
    Or dolce in sè ristretti,
    A cui gelosi temono
    Gli Amori pargoletti
    Non omai tutto a suggere
    Doni Venere madre il suo bel sen:

    I labbri, onde il sorridere
    Gratissimo balena,
    Onde l’eletto e nitido
    Parlar, che l’alme affrena,
    Cade, come di limpide
    Acque lungo il pendìo lene rumor;

    Seco portando e i fulgidi
    Sensi ora lieti or gravi,
    E i geniali studii
    E i costumi soavi;
    Onde salir può nobile
    Chi ben d’ampia fortuna usa il favor.

    Ahi, la vivace immagine
    Tanto pareggia il vero,
    Che, del piè leso immemore,
    L’opra del mio pensiero
    Seguir già tento; e l’aria
    Con la delusa man cercando vo.

    Sciocco vulgo a che mormori,
    A che su per le infeste
    Dita ridendo noveri
    Quante volte il celeste
    A visitare Ariete
    Dopo il natal mio dì Febo tornò?

    A me disse il mio Genio
    Allor ch’io nacqui: L’oro
    Non fia che te solleciti,
    Nè l’inane decoro
    De’ titoli, nè il perfido
    Desìo di superare altri in poter.

    Ma di natura i liberi
    Doni ed affetti, e il grato
    De la beltà spettacolo
    Te renderan beato
    Te di vagare indocile
    Per lungo di speranze arduo sentier.

    Inclita Nice. Il secolo,
    Che di te s’orna e splende,
    Arde già gli assi. L’ultimo
    Lustro già tocca, e scende
    Ad incontrar le tenebre,
    Onde una volta pargoletto uscì:

    E già vicino ai limiti
    Del tempo i piedi e l’ali
    Provan tra lor le vergini
    Ore, che a noi mortali
    Già di guidar sospirano
    Del secol, che matura il primo dì.

    Ei te vedrà nel nascere
    Fresca e leggiadra ancora
    Pur di recenti grazie
    Gareggiar con l’aurora;
    E di mirarti cupido
    De’ tuoi begli anni farà lento il vol.

    Ma io, forse già polvere,
    Che senso altro non serba
    Fuor che di te, giacendomi
    Fra le pie zolle e l’erba,
    Attenderò chi dicami
    Vale passando, e ti sia lieve il suol.

    Deh alcun, che te nell’aureo
    Cocchio trascorrer veggia
    Su la via, che fra gli alberi
    Suburbana verdeggia,
    Faccia a me intorno l’aere
    Modulato del tuo nome volar.

    Colpito allor da brivido
    Religïoso il core,
    Fermerà il passo; e attonito
    Udrà del tuo cantore
    Le commosse reliquie
    Sotto la terra argute sibilar.




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