Edizione Italiana
    Library / Literary Works

    Giuseppe Parini

    A Silvia

    Perchè al bel petto e all’omero
    Con subita vicenda
    Perchè, mia Silvia ingenua,
    Togli l’Indica benda,

    Che intorno al petto e all’omero,
    Anzi a la gola e al mento
    Sorgea pur or, qual tumida
    Vela nel mare al vento?

    Forse spirar di zefiro
    Senti la tiepid’ora?
    Ma nel giocondo ariete
    Non venne il sole ancora.

    Ecco di neve insolita
    Bianco l’ispido verno
    Par che, sebben decrepito,
    Voglia serbarsi eterno.

    M’inganno? O il docil animo
    Già de’ feminei riti
    Cede al potente imperio:
    E l’altre belle imiti?

    Qual nome o il caso o il genio
    Al novo culto impose,
    Che sì dannosa copia
    Svela di gigli e rose?

    Che fia? Tu arrossi? E dubia,
    Col guardo al suol dimesso,
    Non so qual detto mormori
    Mal da le labbra espresso?

    Parla. Ma intesi. Oh barbaro!
    Oh nato da le dure
    Selci chiunque togliere
    Da scellerata scure

    Osò quel nome, infamia
    Del secolo spietato;
    E diè funesti augurii
    Al femminile ornato;

    E con le truci Eumenidi
    Le care Grazie avvinse;
    E di crudele immagine
    La tua bellezza tinse!

    Lascia, mia Silvia ingenua,
    Lascia cotanto orrore
    All’altre belle, stupide
    E di mente e di core.

    Ahi, da lontana origine,
    Che occultamente noce,
    Anco la molle giovane
    Può divenir feroce.

    Sai de le donne esimie,
    Onde sì chiara ottenne
    Gloria l’antico Tevere,
    Silvia, sai tu che avvenne;

    Poi che la spola e il Frigio
    Ago e gli studj cari
    Mal si recàro a tedio
    E i pudibondi Lari;

    E con baldanza improvvida,
    Contro a gli esempi primi,
    Ad ammirar convennero
    I saltatori e i mimi?

    Pria tolleraron facili
    I nomi di Terèo
    E de la maga Colchica
    E del nefario Atrèo.

    Ambìto poi spettacolo
    A i loro immoti cigli
    Fur ne le orrende favole
    I trucidati figli.

    Quindi, perversa l’indole,
    E fatto il cor più fiero,
    Dal finto duol, già sazie,
    Corser sfrenate al vero.

    E là dove di Libia
    Le belve in guerra oscena
    Empièan d’urla e di fremito
    E di sangue l’arena,

    Potè all’alte patrizie
    Come a la plebe oscura
    Giocoso dar solletico
    La soffrente natura.

    Che più? Baccanti, e cupide
    D’abbominando aspetto,
    Sol dall’uman pericolo
    Acuto ebber diletto:

    E da i gradi e da i circoli
    Co’ moti e con le voci,
    Di già maschili, applausero
    A i duellanti atroci:

    Creando a sè delizia
    E de le membra sparte,
    E de gli estremi aneliti,
    E del morir con arte.

    Copri, mia Silvia ingenua,
    Copri le luci; et odi
    Come tutti passarono
    Licenzïose i modi.

    Il gladiator, terribile
    Nel guardo e nel sembiante,
    Spesso fra i chiusi talami
    Fu ricercato amante.

    Così, poi che da gli animi
    Ogni pudor disciolse,
    Vigor da la libidine
    La crudeltà raccolse.

    Indi a i veleni taciti
    Si preparò la mano:
    Indi le madri ardirono
    Di concepire in vano.

    Tal da lene principio
    In fatali rovine
    Cadde il valor la gloria
    De le donne Latine.

    Fuggì, mia Silvia ingenua,
    Quel nome e quelle forme,
    Che petulante indizio
    Son di misfatto enorme.

    Non obliar le origini
    De la licenza antica.
    Pensaci: e serba il titolo
    D’umana e di pudica.




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