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Ippolito Nievo
Dopo la visita ad una miniera di carbone in Carnia
Sfolgora il sole. Vampe di luce corrono il cielo,
mentre sul bosco estatico
scende la meridiana quiete. Tra i larici verdi,
tra i bruni abeti immobili,
celebrano le mosche, ronzando, lor facili nozze,
e industriosi tessono
i ragni le tele. Di giallo, di rosso, d’azzurro
spiega agli insetti pronubi
ogni corolla un richiamo, e viene, or si or no, da lontano
il ritornello tremulo
d’una canzon d’amore. Fra tanto fremer di vita
silenziosi si avviano
i minatori al lavoro. Aperta nel sasso li inghiotte
l’oscura bocca funebre;
essi discendon lenti, curvi per l’antro malfido
delle fumose lampade
al rossigno bagliore. Grandi ombre nere si allungano
su le pareti viscide
di oscura gromma coperte, e lacrime e lacrime pare
gemer la terra, e paiono
le tristi gocce cadute raccogliersi in pozze sanguigne.
I minatori scendono.
Qual da le morte case un alito grave si leva,
tale vien dalle intime
viscere della terra della putredine il lezzo.
Par la montagna premere
col ciclopico sforzo della gran mole rocciosa
sulla profonda ed esile
sua ferita gemente, e dei viventi sepolti
pare sul petto premere.
O giocondo lavoro al sole al vento compiuto,
consolator dello spirito!
Sana fatica, che induri il corpo, che l’anima tempri!
o meridiano placido
riposo tra i fiori, del bosco sul margine, all’ombra
profumata dei larici!
Giù nelle viscere oscure del monte anzi tempo sepolte
struggonsi vite giovani,
scorrono vite brevi. O lento, o diuturno supplizio
di sconosciuti martiri!
Morde il piccone assiduo la roccia, che cede e si sfalda,
e fra gli strati tenui
il tesoro racchiude; s’annebbia la grotta recente
di soffocante polvere,
che insidiosa, sottile, gli occhi, le fauci, il petto
del minatore attossica.
Egli, simile a tarlo, d’annosa querce rodente
la compage durissima,
striscïando avanza pel tenebroso cunicolo,
lento, ma infaticabile.
Alla montagna avara strappa del sole antico
la possanza, da secoli
prigioniera nel sasso, e libera all’uomo la dona
più delle gemme nobile,
utile come il pane. Inconsapevole eroe,
alla morte, che assidua
lo persegue ghignando, serenamente ei sorride.
Lassù alla luce fulgida
del sole ansiosi lo attendon la madre, la sposa, i figlioli
nella casetta povera,
e paiono le tenebre di quel sepolcro di vivi
tutte di luce splendere
a quel pensiero. — Guata sinistramente la morte
la consacrata vittima.
Canti del Friuli