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Ippolito Nievo
Un veglione a Roma
Invidioso il cardinal Antonelli delle grandi e cordiali feste fatte da Milano al suo Re, e volendo provare al generale Goyon il filiale amore professato al suo governo dal popolo romano, decise anch'esso di aprire le sale del Vaticano ad una grandiosa festa da ballo.
Un ballo al Vaticano? Non fatene le meraviglie. Davidde danzava innanzi all'arca, ed Alessandro V avvezzò le pareti del palazzo papale a ben altri spettacoli. Anzi, considerata la troppa modestia delle persone che sarebbero intervenute alla festa, il gran Penitenziere decise di permettere l'uso delle maschere.
Un gran programma fu stampato in latino dalla tipografia pontificia, diramato presso tutte le corti d'Europa, e affisso a tutti i canti della città eterna, e degli altri luoghi che godono ancora la beatitudine del governo dei preti. lo non l'ho letto; ma m'immagino che vi sarà stata promessa qualche indulgenza a chi ballasse un certo numero di polke. Siccome non è presumibile che il Santo Padre fosse seduto sulla cattedra di san Pietro mentre scriveva un programma affatto mondano, cosí mi sembra lecito ad ogni fedel cattolico il supporre in quel documento qualche granchio preso dalla sua infallibilità.
La sera del giorno fissato fu a Roma un gran concorso di diligenze, di vetture e perfino di biroccini. La piazza di san Pietro era ingombra di gente che smontava, gridava, e scaricava bauli, gesuiti, diplomatici, birri smessi, e vecchie bigotte componevano la maggioranza. Alcuni per risparmio di bagaglio erano già in maschera chi da arlecchino, chi da pagliaccio, o da spacca-legna; parecchi serbavano il tabarrone e il famoso cappello di sant'Ignazio per garantirsi dal freddo; ma sotto avevano già indosso i piú provocanti vestiti alla debardeur!
Otto enormi carrozzone di corte, quattro provenienti da Ancona e quattro da Napoli erano entrate con gran segretezza nel palazzo dell'ambasceria austriaca. Si facevano i piú strani commenti sul contenuto di quelle vetture: i prelati piú furbi si perdevano in conghietture; Antonelli si era vantato che se erano maschere, egli le avrebbe indovinate prima che dicessero una parola.
Alle nove si apersero le sale. Siccome il governo della Santa Sede è eminentemente conservatore, cosí l'illuminazione era tutta a candele di cera. Il gaz come sospetto d'eresia non ha potuto ancora penetrare a Roma.
Gli addobbi, è vero, avevano odore d'incenso e ricordavano la sacristia; ma, vista la strettezza del tempo, si eran fatti miracoli. Anzi questa è una prova di piú contro quegli increduli che negano nel nostri tempi la continuità dei miracoli.
La calca era straordinaria, e abbastanza allegra e variata. Ma quando si venne a combinare la prima quadriglia, Antonelli s'accorse che si mancava di ballerine e che le poche intervenute erano da troppo tempo devote alla Santa Sede per poter menare le gambe.
L'illustre uomo di stato maledisse in cuor suo l'ostacolo della clausura che gli toglieva una falange sí giovane e briosa di cortigiane; ma gli sovvenne a tempo della parabola del Vangelo e mandò fuori pei trivii e pei quadrivii servi e staffieri che reclutassero ballerine ad ogni costo. Considerato che il popolo romano fu principe del mondo, tutte le donne romane si possono uguagliare alle principesse. D'altronde il Santo Padre è servo dei servi di Dio; e non deve aver riguardo ad accogliere nella sua corte anche le serve degli uomini.
Non dirò che le nuove invitate odorassero di patchouli, ma furono abbastanza numerose per animare la festa. I pierrots, i debardeurs, gli arlecchini erano al sette cieli per la ben cresciuta compagnia; e le vecchie bigotte, vestite la maggior parte da giardiniere, borbottavano giaculatorie assai poco devote contro la preferenza dimostrata alle ultime intruse.
Alle dieci la gioia, il movimento, la confusione erano al colmo. Il colpo d'occhio era stupendo. I cardinali, che, visto il bastevole sfarzo del loro vestito, non avevano creduto opportuno di cambiarlo, sembravano tanti papaveri in un prato variopinto di fiori. Antonelli guardava spesso la porta aspettando la mascherata dell'ambasceria austriaca; ma non compariva ancora nessuno.
Alle undici si udí un gran rumore sulla scala; e successe all'ingresso un rimescolamento indicibile. Cominciarono a bisbigliare; il Santo Padre, il Santo Padre! Ma il cardinal Patrizi fece osservare che Sua Santità non avrebbe potuto consacrare la festa della sua presenza, perché lo Spirito Santo non gli aveva dato in proposito una ispirazione precisa. D'altronde il Concilio di Trento non aveva Previsto il caso nei suoi mille canoni.
Antonelli corse verso la porta, perché prevedeva qualche cosa di strano, e non volle esser l'ultimo ad osservare.
Immaginatevi lo spettacolo piú commovente ed edificante che si possa mai immaginare da un cuore cristiano. Era una lunga fila di giovanetti e di verginelle con vestiti di candido lino e la palma del martirio in mano. Avanzavano a due a due sbassando modestamente gli occhi dietro l'incerato della maschera; e, giunto in presenza del cardinale ministro di stato, uno che sembrava il capo gli presentò un memoriale bollato col suggello di S. M. I. R. e Apostolica.
Il cardinale sentí un palpito nel cuore, e prese il piego e lo aperse e lo lesse con premura straordinaria.
Eminenza Reverendissima!
La nostra apostolica Maestà non può essere che profondamente commossa dalle strettezze in cui versa il successore degli Apostoli. Ma pur troppo anche noi a Vienna non siamo in gran fiore; e ci dispiace di dover limitare per ragioni di alta necessità l'eccesso del nostro zelo.
Preso adunque consiglio col nostro Eminentissimo Elemosiniere il cardinal Rauscher, e veduti i bisogni nostri e quelli della Santa Sede, abbiamo deciso di spedirvi due dozzine di martiri d'ambo i sessi perché voi vogliate usarne secondo la vostra prudenza alla maggior gloria di Dio in tutte le vostre urgenze.
Queste potranno fare una degna comparsa nella gran dimostrazione mascherata che ci annunziate; e impetrateci intanto dal cielo una valida benedizione.
Firmato: CECCO BEPPO
Il cardinale aveva appena finito di impallidire a questa lettera e di accogliere alla meglio i ventiquattro martiri che puzzavano d'acquavita, e parlavano il piú puro toscano di Agram, quando gli convenne tornare alla porta per un nuovo ricevimento.
— Oh mamma mia!... Oh per san Gennaro, malannaggia a questi f... di Romani!... Come fa freddo a Roma! — gridavano alla rinfusa molte voci che si avvicinavano.
Cos'era? Erano altri ventiquattro martiri che mandava al suo Santissimo Padre il Bombino di Napoli scusandosi di non mandare il general Pianelli perché ne aveva bisogno per martirizzare i suoi popoli.
— Signori martiri! — gridò con voce solenne il cardinale che a quel secondo colpo era diventato di tutti i colori. — Ringrazio i vostri padroni della loro cortesia. Che volete che vi dica? Abbiamo cominciato coi martiri sul serio; finiremo piú allegramente coi martiri in maschera!... Oggi balliamo; e domani provvederò... per non esser martire io —.
La festa ricominciò allora piú animata che mai: e i martiri ballarono insieme agli altri dimenticando con molta disinvoltura il futuro supplizio. Alle due un cameriere segreto venne ad avvertire che Sua Santità aveva volontà di dormire, e ch'era abbastanza persuaso del grande affetto del popolo di Roma.
Chi andò di qua, chi andò di là; molti sbagliarono la porta di casa e si vuole anche il letto. I catecumeni furono alloggiati a spese del governo nel collegio De Propaganda; e fu soltanto il giorno appresso dopo la loro partenza da Roma che il cardinal Antonelli da un dispaccio telegrafico di don Margotto rilevò che la doppia mascherata anziché essere un omaggio di due sovrani falliti era un satirico scherzo di Pasquino.
ARSENICO