Edizione Italiana
    Library / Literary Works

    Ippolito Pindemonte

    Alla luna

    I.

    Grato al piacer, che move
    Da te, vergine Diva, e in sen mi piove,
    Te canterò: m’insegna
    Deh tu quell’armonía,
    5Che del pudico indegna
    Orecchio tuo non sia,
    Che parte stillar possa in cor del Saggio
    Di quel dolce, ond’è pieno il tuo bel raggio.

    II.

    Oh quante volte il giorno
    Insultai col desío del tuo ritorno!
    L’Ore in oscuro ammanto,
    E con vïole ai crini,
    T’imbrigliavano intanto
    I destrieri divini,
    E su l’apparecchiata argentea biga
    Il Silenzio salía, tuo fido auriga.

    III.

    Perchè sola ti vede,
    Sola l’ignaro vulgo in ciel ti crede:
    Ma il Riposo, la Calma,
    Del meditar Vaghezza,
    Ogni Piacer dell’alma,
    La gioconda Tristezza,
    E la Pietà, con dolce stilla all’occhio,
    Ti stanno taciturne intorno al cocchio.

    IV.

    Cieco io divenga, s’io
    Di levare a te lascio il guardo mio;
    O che in cammin notturno
    Per fosca ombrata sponda
    Vegga il tuo viso eburno
    Splender tra fronda e fronda,
    O sieda in riva di tranquillo fiume,
    Che l’onde sue rincrespi entro il tuo lume.

    V.

    Meglio, se in riva a un lago,
    Custode più fedel della tua imago.
    Talor quell’onda blanda,
    Tuo specchio, ti consiglia,
    Quando la tua ghirlanda
    Di ligustro e giunchiglia,
    Se turbolla per via rabido vento,
    Tu ricomponi con la man d’argento.

    VI.

    Steso sul verde margo
    D’obblío soave ogn’altro loco io spargo.
    Quai care ivi memorie
    Trovo de’ miei prim’anni,
    Quai trovo antiche storie
    De’ miei giocondi affanni!
    Ah no, che Amor, d’ogni dolcezza avaro,
    Sempre non mesce i nappi suoi d’amaro.

    VII.

    E ancor che a quella unita
    Di Zelinda or non più sia la mia vita,
    Con bel piacer ritorna
    Spesso a quel giorno il core,
    Che pria la vide, adorna
    Di grazia e di pudore,
    Cortese e grave il guardo e la favella,
    Luna, quale sei tu, modesta e bella.

    VIII.

    Ma se la faccia pura
    Talora involvi d’una nube oscura,
    E ripercuoton l’onde
    Luce più scarsa e mesta,
    E annerasi ogni fronde
    Della muta foresta,
    Più l’alma è trista, e sotto nube anch’essa
    D’atri pensier si riconcentra oppressa.

    IX.

    Allor, come dubbiosa,
    Ed instabile qui giri ogni cosa;
    Come, Dea sorda e forte,
    Necessità qui regni,
    E sieno al fin di morte
    Preda i più bei disegni,
    L’alma volgendo va gelida e bruna.
    Esci, ah tosto esci di tua nube, o Luna.

    X.

    Te ricomparsa appena,
    Torna teco a brillar l’alma serena:
    Qual d’Orïente vaga
    Sposa, che il vel rimova,
    Onde ogni volta piaga
    Nel suo Signor fa nova,
    Tal esci dalla tua veste superba
    Per quelle tue lucenti orme, che serba.

    XI.

    Mutasi allor la negra
    Scena in un punto, e terra, e ciel s’allegra:
    E con piacer l’erbette,
    Pria tutte a brun dipinte,
    Mirano le caprette
    In pallid’or ritinte;
    Gli occhi sovra le cose errar già ponno,
    Ed è più bello di natura il sonno.

    XII.

    Volge stagion talora
    Che in ciel t’incontri con l’altera Aurora.
    Placida dea, tu poco
    A pugnar seco aspiri,
    Ma cedi pronta il loco
    E il raggio tuo ritiri,
    Paga che tanto a lei dell’emisfero
    Men lungo sia, che non a te, l’impero.

    XIII.

    Però che alquanto albeggia
    Pria quella Diva e alquanto indi rosseggia;
    Ma tosto il sol l’ha colta,
    Tosto per lui dell’aria
    La signorìa l’è tolta:
    Trapassa solitaria,
    Sconosciuta trapassa entro il suo velo
    Nel color tinto, in cui si tinge il cielo.

    XIV.

    O al lume tuo sereno
    Sieda l’Estate, discoperta il seno,
    O il Verno assiderato
    Vada i tuoi rai cercando,
    Alcun tepor bramato
    Quasi trovar sognando,
    Così tu mi sia destra, inno canoro
    Batterà sino a te le penne d’oro.

    XV.

    E allor che infermo e stanco
    Trarrò nelle giornate ultime il fianco,
    Che al tuo silenzio opaco
    Mi fia l’errar fatica,
    Mi fia la selva, e il laco
    Solo delizia antica,
    Nel mio ritiro un de’ tuoi rai discenda,
    E sul bianco mio crin dolce risplenda.




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