Edizione Italiana
    Library / Literary Works

    Ippolito Pindemonte

    Tecum etenim longos memini consumere soles

    Tecum etenim longos memini consumere soles,
    Et tecum primas epulis decerpere noctes
    .
    PERSIO. sat. V.


    Camminare in fretta per una valle fosca e spaziosa, e vedersi a destra e a sinistra cader gli uomini dalla morte colpiti, ed ora sparire il congiunto, o il compagno, e quando la madre, o la sposa, e quasi ad ogni passo aprirsi una fossa davanti a noi, e calcar col piede quelle ossa, che vestite scorgemmo di carne amica, e finalmente piombar noi pure nel sen d’un sepolcro: è questa la vita. Orgogliosa saviezza umana, che hai a suggerire? Genitori, fratelli, consanguinei non puoi non avere; ma puoi non aver la moglie, i figliuoli, l’amico. Guardati dunque da legami così pericolosi, così funesti, e temi di gustare quelle dolcezze, che convertir si possono in amaritudine ed in veleno.

    Questo sarebbe il discorso della follia. Destinati a vivere in un Mondo, ove il bene ed il male vanno, per così dire, l’uno a braccio dell’altro, noi dobbiamo affrontarci con l’uno e l’altro, seguir la natura, che c’ingannerà meno che i nostri sistemi, e credere che potremmo essere più infelici per soverchio studio di felicità.

    Certamente non vi è stato di contentezza per l’uomo, che dal solo timore di veder perire una persona cara non sia grandemente turbato. Negli stessi momenti, in cui la veggiam meglio disposta e più vegeta, in cui più godiamo del bene di viver con lei, morte prepara forse il fatal dardo invisibile, per cui dobbiam perderla. Direm per questo, che sia un male il posseder sì cara persona? No: diremo, che non v’ha felicità pura e senza mescolanza per l’uomo.

    O Torelli, sono appunto quattro anni ch’io t’ho perduto, e mi par che ciò sia oggi medesimo. Dicono alcuni, che in que’ momenti primi di desolazione e di pianto, che seguon la morte d’un nostro amico, ci sembra che non sarà mai per partire quella oscurità, onde coperto ci apparisce ogni oggetto, ma che si vuol pensare, che quella dee finalmente dar luogo, e così consolarci: il qual consiglio, supposto ancora che ad un gentile e ben trafitto animo convenisse, non so poi da quanta buona esperienza sia sostenuto. Veggo, che dopo qualche tempo sembrar ci dee cancellata quasi sotto le nuove idee ricevute quella, che prima ci affliggea tanto: ma viene il momento, in cui quelle tracce, che parean chiuse, si riaprono, s’allargano, s’internan di nuovo, come se nuovo accidente insulti piaga non rimarginata. Viene, e non di rado, quella circostanza, in cui dicesi: Oh s’egli fosse vivo! oh s’io l’avessi qui meco! Ed ecco nuovamente ricoprirsi agli occhi nostri d’un velo tutta la natura.

    No, non ci è afflizione più traditrice di questa: credo d’esserne liberato, ed improvvisamente la mi veggo intorno. Quindi il dolor della perdita d’un amico non finisce mai veramente; ed ogni volta, che desideriamo con ardor grande la presenza di lui, pare ch’egli muoja di nuovo.

    Pure io non vorrei per cosa del Mondo non aver conosciuto colui, che or piango. Non solo è dolce ed utile cosa il possedere un saggio e fedel compagno, ma eziandio l’averlo già posseduto. È vero ch’io più non l’ascolto; ma conobbi così la maniera sua di pensare, che saper posso in ogni vicenda com’egli mi consiglierebbe. Ho nella mente il suo esempio, che non ho più negli occhi; e più, che l’immagine sua di marmo, abbraccio la figura dell’animo suo. Sia prosa, o versi quello ch’io scrivo, io dico: Non piacerebbe a lui questa idéa, non questo giro, non questo passaggio. E lo stesso è nelle cose della vita più importanti assai, che quelle della letteratura: Egli mi avvertirebbe di fuggir quel ridotto, di tollerar quel difetto negli altri, di riserbar la severità per me stesso. Quanto non ti deggio, o Torelli! Veggendo tu nell’amor dello studio il mezzo più efficace per divertire i giovani da’ vani e pericolosi piaceri, con quanta cura non cercasti tu d’inspirarmelo! Fu per questo, che m’inducesti a far cosa, la quale non posso dire quanto mi spiacesse poi d’aver fatta: ma conoscendo l’intenzion tua, odio il consiglio, ed amo il consigliere ad un tempo. M’inducesti ad uscire in istampa, credendo ch’io non potrei più ritirarmi da un campo, in cui fossi entrato pubblicamente. Vidi, acquistata con gli anni qualche sperienza, vidi quella follia: continuai nella stessa, perchè, non potendo il fatto disfare, ebbi per lo meglio il produrre in luce cose meno imperfette di quelle prime, o quelle prime riprodurre, quanto era in me, più corrette.

    Io non parlo cosi nè per una soprabbondanza di modestia, nè per un senso di scontentezza. Ma che è mai una lode, che ottien ciascuno, perchè ciascuno ha, come i suoi contrarj, i suoi amici ancora, i partigiani e fautori suoi, che son del gusto medesimo, benchè falso, e tengon le stesse opinioni, benchè stravolte? Una lode, a cui l’uom savio non saprà mai quanto credere, finchè vi sarà amicizia, adulazione, e buona creanza nel Mondo? Merita ciò la pazzia di dire agli altri uomini d’esser molto da più di loro, come tacitamente dice chi esce in istampa? delitto, che gli uomini non perdonano mai: onde a torto ci maravigliam poi di quella censura, che altro non è che vendetta. Studiandomi, tu mi dirai, di far sempre meglio, confonderò gli avversarj, e i miei più mi s’affezioneranno. Qual errore! I nemici s’inaspriscono, e ti si rivolgon contro più fieri; e gli amici, quello ch’è peggio, diventano di te gelosi.
    Ma questa gelosia, o Torelli, tanto meno esser potea tra noi due, quanto che gli stessi affatto non erano nè i nostri studj, nè la nostra età. Dir posso anche rispetto a questa, che m’eri padre, ed amico ad un tempo. E tanto meglio posso dirlo, che il padre mio m’avea a te, poco prima di morire, caldamente raccomandato: felice pensiero, che mi fece stimare ancor più l’uno e l’altro, e mi rendette più cara e la sua memoria, e la tua persona.

    E forse fu questa differenza di studj e d’ età, che in gran parte ne generò una, non però grande, nella maniera nostra di pensare, e sentire: differenza che a me punto non dispiacea. So bene, che generalmente si crede, non darsi amicizia vera senza un’ analogia perfetta di sentimenti; il che non solamente mi sembra falso, ma parmi ancora, che allor l’amicizia sia molto men bella. Che altro veggiamo allor nell’amico, che la nostra immagine? Converrebbe cessare d’amar noi stessi, per lui non amare; ovvero non è l’amico propriamente che amiamo, ma noi. Io voglio che l’amico sia un altro; ma tale, che, supponendo ch’io dovessi non esser più ciò ch’io sono, altro non desiderassi d’essere in tutto il genere umano, che lui.

    Differenti essendo, o Torelli, in questa bassa valle le nostre vie, tali esser doveano in parte i modi ancor del pensare. Ma se diverse furon le nostre vie in questo Mondo, oh potess’io, al momento d’uscirne, altra strada non prendere, che la tua! Tu vi lasciasti forse qualche striscia di luce; ma la umanità, da cui son velati i miei occhi, mi toglie il vederla. Possa io trovarla, quando senza questi occhi ci vedrò meglio: momento che forse non è lontano. Non che la mia salute non siasi rinforzata alquanto: ma che è mai la vita? Già l’autunno siede su questi campi; già tutta la natura cominciò ad avvertir gli uomini del lor fine. Va scemando la musica, che tacerà in breve, delle foreste; le quali, variando le loro tinte, mostran che in breve non ne avranno più alcuna: le foglie appassite, onde il sentiero è coperto, ritardando talora i miei passi, fermati, pajon dir fischiando al pensiero, che troppo avido si stende verso il futuro; e gli augelli di passaggio, preparandosi all’immenso lor volo, mi ricordan, che gli uomini su la terra non son che passeggeri e viandanti. O alberi, le foglie a voi torneranno: ma tornerò io a voi? Sì, lascerò la campagna al sopravvenir del verno, cioè dappoi ch’ella m’avrà lasciato: ma s’io vivo, tornerò co’ zefiri, e con le rondini, il giuro. Tornerò a goder di quest’aere, di questi colori, di quest’ombre, di questo sole: a rivolgere in mente ne’ miei passeggi la forma, o Torelli, dell’animo tuo; considerando principalmente quel desiderio di perfezionar te stesso, che ti portò ad ogni scienza ed arte, come ad ogni virtù; considerando quell’amor generale dell’ottimo, che accuratissimo esser ti fece così ne’ tuoi studj, come nel tuo morale contegno, e quel senso dell’ottimo in ogni cosa, per cui riusciron classiche le tue produzioni, e classica fu, se posso dir così, la tua vita.


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