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Isabella Teotochi Albrizzi
Lettere a Lazzaro Spallanzani
Venezia, 19 settembre 1793.
Per quanto non potess’io lusingarmi di vivere nella memoria dell’amabile Spallanzani, pure non potevo di buon grado adattarmi all’idea di esserne del tutto obliata. Parevami una specie d’ingiustizia quella di non ritornar mai nella memoria di chi tanto di frequente si presentava alla mia, nè punto valeva a raddolcire l’amarezza di questa idea, la facile e naturale spiegazione, che le persone d’un merito distinto formano una impressione durevolissima, mentre quelle che ne sono mancanti, lontane che siano dalla presenza nostra, se ne vanno appunto come i sogni, che l’arrivo del giorno scaccia, e del tutto cancella.
Dopo tutto ciò parmi inutile ch’io le dica il piacere infinito che mi fece il suo foglio. Come mai potrei ringraziarla di tante sue generose espressioni? Oltre di che, non potendole io mai attribuire che all’indulgenza dell’animo suo, uno sterile ringraziamento sarebbe meno opportuno della infinita gratitudine che pretesto a tanta sua gentilezza. Oh quanto spesso, amabile signor Lazzaro, dalla sua Pavia io la riconduco con la mente nel mio piccolo stanzino di compagnia, di cui ella ne formava l’estate scorso l’ornamento e la delizia! Tutte le volte che odo farsi qualche discorso di storia naturale, e ch’io non bene intendo, oh, dico, se quì ci fosse Spallanzani lo intenderei pur bene; se odo la descrizione d’un qualche luogo in cui io vorrei pur con la fantasia trasportarmivi, dico tosto: se Spallanzani me lo avesse descritto, io già ci sarei; e mentre l’abbate Toffoli, sere sono, ci faceva vedere quella sua bella macchina del movimento degli astri, e per verità non senza qualche confusione venia descrivendocela, a bassa voce andava io dicendo, oh Spallanzani! Sì che un forestiere che mi sedeva vicino mi ricercò quale santo invocassi; oh, gli risposi, un certo taumaturgo, che ha il talento di far intendere tutto per mezzo della infinita chiarezza delle sue idee, e della bel lissima sua maniera di esporle, uno infine che ha l’arte d’istruirti dilettandoti, e, quel che più merita, di lasciarti partire contentissimo del tuo talento, operando il prodigio di farti credere propria la di lui dottrina, ingegno, e perspicacia.
Le modestissime anguille resistettero dunque alla penetrazione sua, circa a’ loro amori! Si celebra a cielo la modestia dell’elefante, nè mai a celebrar ho udito quella delle anguille: or sarebb’egli questo il solito destino dei piccioli? Ad onta del mio rincrescimento di vedermi ritardato il sommo piacere che mi prometto dalla lettura del suo viaggio, parmi giustissima una delle due ragioni del signor Sénébier, quella cioè in cui dice esser meglio assai che comparisca l’opera tutta intera di quello che spezzata, e col necessario ritardo, quando si voglia stampare e pubblicare l’uno dopo l’altro volume. Quanto più un’opera interessa, tanto più dispiace di non poterla proseguire, quindi tanto più vera, parlando della sua, parmi la riflessione. In oltre di che ho trovato che resta sempre maggiormente impressa nella mente e nell’animo un’opera letta tutta intera senza che la mente sia distratta da una intermedia lettura, e parmi anche certo che più rapidamente che fatta sia una lettura, più la ci resta nella memoria sicura ed indelebile. In quanto poi all’altra ragione ch’egli adduce, io non saprei trovarla assolutamente vera, eccettuato qualche dotto francese, troppo vicino al suo teatro per non esserne dalla rappresentazione distratto; io credo benissimo che generalmente siano come prima coltivate le scienze, e che non siano nella politica immersi che quelli che non avrebbero nemmeno in altro tempo letto l’opera sua, e che non meritano nemmeno di leggerla.
La mia salute, di cui ella preude tanto amichevole interesse, è buona, ma non lo è che da pochi giorni. Una leggera ma insistente terzanella volle da me doppi gli onori del congedo, e mentre altrove le basta l’accompagnamento di 6 once di china china, 12 da me ne esigette. La ho servita, e se n’è finalmente andata, non forse con minor mio piacere di quello che provato ne abbia il re di Napoli alla partenza della flotta francese. Se questi signori somigliassero ad alcune donne che sono felicissime quando possono menar rumore, in bene o in male che sia, certo essere dovrebbero contentissimi, perchè ora con le mode, ora con la bella letteratura, ora con lo spirito, ed ora finalmente con le stragi, occupano ed agitano tutta Europa di loro. Ma questo è un abusar della sua tolleranza e commettere al pubblico un furto, occupandola con tante ciarle.
Pure non posso impedirmi di pregarla a darmi qualche volta le sue nuove, e permettermi di darle le mie.
I miei amici tutti la ringraziano della memoria che di loro conserva, e mi commettono di riverirla distintamente; così il marito mio, che infinitamente la ringrazia. Ella, amabile Spallanzani, mi continui la sua amicizia ch’io tanto pregio, e mi creda inalterabilmente ecc.