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Lorenzo de' Medici
Canzona dello zibetto
Donne, quest’è un animal perfetto
a molte cose, e chiamasi ’l zibetto,
E’ vien da lungi, d’un paese strano;
sta dov’è gemizion over pantano,
in luoghi bassi, e chi ’l tocca con mano,
rade volte ne suole uscir poi netto.
Carne sanz’osso sol gli paion buone,
ma vuolne spesso, e, se può, gran boccone;
poi duo dita di sotto al codrïone,
come udirete, si cava il zibetto.
Hassi una tenta, ch’è un terzo lunga,
spuntata acciò che drento non lo punga.
caccisi drento, e convien tutta s’unga,
o donne: e’ vi parrà dolce diletto.
Così si cava quel dolce licore;
ed ècci a chi non piace quell’odore:
egli è pur buon, ma il troppo fa fetore
di qualche tanfo a chi lo tien mal netto.
Bisogna al metter drento ben guardare;
il luogo ov’è ’l zibetto non scambiare,
ché si potria d’altra cosa imbrattare
la tenta, e fassi male al poveretto.
Chi non ha tenta pigli altro partito;
truova stran’ modi, o almeno fa col dito,
e poi lo dànno a fiutare al marito,
se non ha tenta o vien da lui il difetto.
È certe volte a trar pericoloso,
perché ’gli ha il tempo suo, e vuol riposo
tre giorni o quattro; pure un voglioloso
non guarda a quello e trae un stran brodetto.
La virtù del zibetto, o donne, è questa
mettivi il naso, scarica la testa;
della donna del corpo ogni mal resta,
e non c’è meglio a chi ha tal difetto.
Chi avessi durezza nelle rene,
la punta della tenta ugnerai bene;
metti ov’è il male, e subito ne viene
fuor la caldezza, ed hanne gran diletto.
Di fare ingravidare ha gran virtùe;
molte altre ancor, ma non ne direm piùe;
forse abbiam detto troppo; donne, or sùe,
provate s’egli è ver quel che abbiam detto.
Se ne volete, noi ne vogliam vendere;
del più vivo che avete convien spendere;
non state dure; e’ vi bisogna arrendere,
e menar a volerne un bossoletto.
Canti carnascialeschi