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Ludovico Savioli
All'Aurora
Sorgi aspettata: il roseo
Destriero alato imbriglia:
Stanca è la notte, e pallidi
Son gli astri, o Dea vermiglia.
Come al favor dei zefiri
Puro il tuo volto appare!
L’Ore non mai ti videro
Più bella uscir dal mare.
Te d’importuna accusino
Le giovinette in pianti,
Ch’entro ai furtivi talami
Sorprendi i pigri amanti.
Ed io coi voti accelero
L’almo splendor, che move.
Oh a me più Dea che Venere,
A me più Dea che Giove!
Tu il sai, confuso e lacero
Da un desíar fallace,
Al suol prostrato io supplice
Giaceva, e chiedea pace.
A grida, e a pianti immobile
Sedea la mia nemica,
Più amara e inesorabile
Di leonessa antica.
Notte regnava, ed orrida
Stendea su i nostri mali
Un velo impenetrabile
Di tenebre mortali.
Tu al scintillar di Fosforo
Uscivi intanto, o Dea,
E un raggio tuo sollecito
Sul mio dolor splendea.
Mi vide, e allo spettacolo
Impallidì la fera:
Pietate, e orror sorpresero
L’alma ostinata, altera.
Tre volte i labbri schiudere,
E cominciar le piacque;
Tre sospirò; scendeano
I pianti in copia, e tacque.
Madre de’ venti instabili,
Uffizíosa Diva,
Tanta pietà ringrazio:
La mia speranza è viva.
Deh se il ritroso giovane
Te più languir non lassi.....
Ahi! te le nubi ascondono,
E non intendi, e passi.