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Ludovico Savioli
La Disperazione
Empia, ad orror perpetuo
Dannata infausta valle,
Che rupi immense adombrano
Colle deserte spalle!
Quest’arse arene accolsero
Medea di rabbia insana:
Qui agl’incantati aconiti
Stese la man profana.
Il tuo mortal silenzio,
L’aere maligno e cieco,
Tutto m’è sacro, ed eccita
L’aspro dolor, che è meco.
Tu ch’ora ombrosa vigili
O Dea nemica al Sole,
Vedi: m’è intorno, e m’agita
La tua tremenda prole.
Essa requie a Sisifo
Ne’ regni bui cortese,
La fiamma in petto avvivami,
Che un Dio peggior v’accese.
Oh dì perduti! oh inutili
Pianti! oh desir fallaci!
Tu de’ mortali esizio,
Atroce Amor, tu piaci?
Qui morte io chiamo; ascoltami
Pietosa indarno, e move.
Tu regni, e me tua vittima
Guardi: ella fugge altrove.
Segui: così nel Tartaro
L’infame augel si pasce,
E sotto al rostro indomito
L’eterno cor rinasce.
Ecco sdegnoso borea
Dall’antro Eolio scoppia,
E a questi luoghi inospiti
Terror mugghiando addoppia.
Forse i miei guai risvegliano
Nella fredd’alma orrore:
Egli ne freme: incognito
Non gli è, che possa Amore.
Ghiaccio ostinato armavagli
Le rigid’ali, e il volto:
Vana difesa! Orizia
Apparve, e fu disciolto.
Felice Iddio! tu immemore
Della tua pena antica
Godi gli Odrisii talami
Colla rapita amica;
Io qui languisco. Oh ferrea
Speme, che indarno invoco!
Ahi te non soli escludono
I regni atri del foco.
Ma già dal cupo oceano
L’Alba i destrier conduce,
Ed importuna accelera
Su i mali miei la luce.
Se ai raggi incerti e languidi
L’occhio fedel non erra,
Ossa insepolte aggravano
Quest’esecrata terra.
Spirto inquíeto, ond’ebbero
Colpevol vita un giorno,
Se te l’amara Nemesi
Danna ad errar qui intorno:
Vedi a che orrendo strazio
L’oppresso cor soggiace;
Vedi, e se puoi consolati:
Il tuo tormento è pace.