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Ludovico Savioli
La Maschera
A che lo sguardo immobile
Nella parete hai fiso,
E sulle braccia appoggiasi
Languente il caro viso?
Godi, se sai, che t’aprono
L’aspetto, e gli anni il campo.
Ahi! le bellezze passano;
La gioventute è un lampo.
Ecco il figliuol di Semele
Torna dall’Inde arene:
I giochi l’accompagnano;
Risplendono le scene.
Festeggia a gara il popolo
Dell’ebbro Dio sull’orme:
Le vesti ora si cangiano,
E i volti in mille forme.
Di queste una sull’Adria
Dall’indolenza nacque:
Di libertà lo studio
Vi si conobbe, e piacque.
Così velate e pallide,
In neri manti avvolte,
Per l’aria bruna appajono
Le afflitte ombre insepolte.
Tu no. Le Grazie tacciano
Sulla celata faccia;
Ma fra le vesti incognite
La tua sembianza piaccia.
O Flora imita, e adornino
Le rose a te la fronte;
O la regina fingasi,
Che nacque al Termodonte.
A stragi usata Amazone
Sul Simoenta venne.
Incauta! a che le valsero
Le grida e la bipenne?
Giacque costretta a mordere
La mal soccorsa terra.
Tu vanne inerme, e supera
In più leggiadra guerra.
Di nuove spoglie accrescere
I tuoi trionfi io veda,
Io nelle tue vittorie
La più gradita preda.
Mille a te Silfi accorrono
In sulle lucid’ali,
Diva progenie, aerea,
Che sfugge occhi mortali.
Ne’ più remoti secoli
Giacque ozíosa e oscura;
Oggi del sesso amabile
Commessa è a lor la cura.
Gelosi custodiscono
I nei, l’acque odorate,
I varj fior, le polveri,
Le gemme, e l’onestate.
Come vegliaro intrepidi
La minacciata Inglese?
Ma il fato è sopra: inutile
Pietà sì bella ei rese.
Scendea sul collo eburneo
Parte del crine aurato,
Per mano delle Veneri
Ad arte inanellato.
Questo all’altera vergine
Degli occhi suoi più caro,
Cadde improvvisa vittima
D’insidíoso acciaro.
Ma sorgi omai. S’involano
L’ore, e la notte avanza:
Vuoti i teatri affrettano
La sospirata danza.
Tu pensierosa or dubiti,
Gemi, e non hai parole;
Poi ti dorrà che rapido
Turbi le veglie il Sole.