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Ludovico Savioli
Le Fortune
Invan t’opponi: a Venere
I voti miei fur cari;
Pace l’udíi promettere
Dagli abbracciati altari.
Pietosa Dea di lagrime
Bagnò le offerte rose,
E della mia vittoria
La cura al figlio impose.
Cedi: timor consigliano
Le conosciute prove.
Chi puote a lui resistere,
Se la sua madre il move?
Nè a sagrifizio ignobile
Te con tuo danno ei chiede,
Nè de’ suoi fidi all’ultimo
Le spoglie tue concede.
Taccio, o ’l dirò? giustizia
Per poco al ver si faccia:
Difficile modestia
Non se n’offenda, e taccia.
Enea, l’eroe magnanimo
Ai sommi Dii sì caro,
Anch’egli osò fra gli uomini
E pio vantarsi e chiaro.
Se infin di noi memoria
Vivrà, se nulla io sono,
Tutta d’Amor propizio
La mia fortuna è dono.
Egli discese ai talami
Di cento belle il Nume,
E i nostri carmi stettero
Sulle vietate piume.
Per lui fur cari, ed ebbero
Ne’ freddi cor virtute:
Tanto giammai non valsero
Preghiera, o servitute.
Per lui le man più timide
Scrivean gli ardor segreti:
Ei m’offeriva immagini,
Favori ed amuleti.
Dolce onestà, che moderi
L’alme col santo impero,
Tu vela i nomi incogniti
Con rigido mistero!
Non precedeva i rapidi
Piacer la giusta pena;
I brevi dì bastavano
Alle conquiste appena.
De’ miei trionfi il numero
Vidi, e nojarmi osai:
Timore al cor m’indussero
D’Orfeo la sorte, e i guai.
Troppo alle belle in Tracia
Piacque per sua sfortuna;
Tutte ad un tempo il vollero,
E solo il volle ognuna.
Ei lacerato, Euridice
Rivide ombra sanguigna.
Ahi tanta in cor femmineo
Mortale invidia alligna!
Ma i tempi nostri ispirano
Consigli assai più miti,
E un novo amor le vendica
De’ vecchi amor traditi.
Tu pensa intanto, e docile
I voti nostri approva.
Or puoi: le sorti cangiano,
Nè ’l desíar più giova.
Per quel color purpureo,
Che il tuo bel viso ha tinto,
Per gli occhi tuoi, che languidi....
Ma tu sorridi? ho vinto.
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