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Luigi Mercantini
Il ritorno
OLTRE Pescara, e di rimpetto ai gioghi
Altissimi del Corno, onde agghiacciati
Spiran per lo abbruzzese etera i venti,
Su le spalle di florida collina
Un vago paesel siede, che nome
Ha di Canzano. Nel più caro tempo
De l’anno che fuggì, fuor le murali
Porte di quel villaggio un dì traeva
Con la sua famigliuola afflitto padre;
E tutti con disire e con pietate
Inchinavan le ciglia a quel sentiero1
Che da Teramo vien. Solo intra essi
Salterellava un pargolo, che il viso
Talora alzando in ver la madre: E quando
Verrà, gridava, il Fratel mio? — Quetate
Non ancor del fanciullo eran le labbra,
Che presso a lor si parve un giovinetto,
Cui da le malinconiche pupille
Tenero senso uscía, che più dolcezza
Tòr paréa da le gote impallidite
Nel colore del giglio, e da la bruna
Capellatura che in lucide ciocche
Pel collo gli piovea. Tutte le braccia
Del pietoso drappello a lui con grande
Affetto eran protese, e in lui fissate
Stavan le luci cupide, spïando
Se da’ scarni sembianti un debil raggio
Di alcuna speme trasparía. Sì fatto
De gli addogliati è ’l cor, che mentre tutta
Sa la sciaúra che sul capo incombe
De l’amata persona e s’apparecchia
Di sentirne l’estremo; un simulacro
Vagheggia intanto di leggiér conforto,
Quasi picciola stella che tra ’l bujo
Brilla un istante e poi s’asconde. — O figlio,
Il genitor dicea, l’aure soavi
Onde questo natío colle s’allieta
Oh! porteran ristoro entro al tuo petto,
E a fiorir tornerai ne la letizia
Di gioventude! — E a gli amorosi detti
Il figliuol sorridea. Sola, in disparte
Si rimanea Lauretta, la più cara
De le sorelle sue: non s’allegrava,
Non facea motto, non piangea; ma l’atto
De gli occhi suoi dicea = Dolce fratello,
Tu a noi tornasti per morir nel seno
Di Laura tua! = Nè vano era il presagio,
Che a la donzella il cor tutto ingombrava.
Note
1. Verso la primavera dell’anno scorso, Giacomo ritornò alla sua terra natale da Teramo, ove attendeva allo studio della medicina.