Edizione Italiana
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    Maria Pezzé-Pascolato

    L'ardito

    Nel plotone di Naso e del Diavolo Bianco era capitato anche un giovinetto pallido, smilzo, timido, che di tutto aveva paura, di tutti aveva compassione.

    Appena vedeva un po’ di sangue, fosse pure una sbucciatura da nulla: — Ah, che male deve fare! — sospirava; e pareva venisse male a lui, tanto si sbiancava in viso e le gambe gli tremavano.

    Di professione era orologiaio, e si chiamava Vittorio; ma Naso aveva subito dichiarato che il nome del nostro Re non era roba per lui. Lo chiamavano in vece Donnetta, ed anche Saponetta, per certi pezzi di sapone che custodiva nello zaino come tesori. — tesori inutili, ahimè, tra tutto quel fango della trincea, dove l’acqua chiara era un lusso, e serviva solamente per bere.

    — Ti laverai, sì, non dubitare; e ci laveremo magari un po’ tutti, quando avremo sbrigato le faccende grandi — gli diceva Naso, al quale non dispiace darsi ogni tanto l’aria di maestro con i compagni più giovani: — Che uno si lavi o no, che uno viva, che uno muoia, sono faccende piccole, come le rotelline dei tuoi orologi. Ma qui, una spinta uno, una spinta l’altro, qui si manda avanti la ruota del mondo, capisci? perchè la giustizia sia rimessa su in cima e splenda come il sole, e la prepotenza precipiti giù, infranta per sempre.

    — Ma come parli bene, Nasone mio! — approvava ridendo il Diavolo Bianco; e apposta, perchè sapeva di toccare un tasto debole, domandava: — E quella del mangiare, dove la metti? Tra le faccende grandi o tra le piccole?

    — Tra le grandi, tra le grandi, — rispondeva Naso allegramente: — Sacco vuoto non ista ritto, e se non ci si regge in piedi, nemmeno si può fare il proprio dovere per la Patria e per il Re.

    Ed ecco che un giorno, mentre ragionano tranquillamente senza pensare alla guerra, arriva una pallottola stracca, di quelle che non vanno diritte al segno, ma sembrano girare per proprio conto, in cerca di qualche povero figliuolo dimenticato dalla sorte.

    Questa volta il povero figliuolo è Saponetta, il quale sente come una violenta frustata alla gamba, e cade a terra stordito. La pallottola gli ha trapassato il polpaccio, senza però fargli gran che, ed è andata a conficcarsi nel tronco d’un albero abbattuto.

    — Così la puoi conservare — dice Naso, che è accorso premurosamente per assistere il compagno: — e magari puoi lavarla col sapone! Ora che non t’ha ammazzato, chi sa la fortuna che ti porterà!

    — Credevo molto peggio, — ammette il ragazzo, e prega Naso di legargli un fazzoletto pulito sulla piccola ferita.

    In quanto a questo, non c’è bisogno di fazzoletti: Naso ha una benda nuova fiammante, e sa come va adoperata. Il meglio però sarebbe di farsi medicare per bene, al posto di soccorso.

    Ma se Saponetta, ora che l’ha scampata, ha un po’ meno paura delle fucilate, ne ha sempre moltissima dei dottori e delle medicazioni; e siccome non sente dolore, preferisce di rimanere coi compagni.

    Intanto, un soldato che ha l’occhio ad una feritoia avvisa il Tenente: — Di lassù si affacciano, e fanno dei cenni....

    Dalla trincea di contro, gli Austriaci accennano infatti, con le mani levate.

    Che cosa vogliono?

    I gesti si ripetono, insistenti; fanno capire che sono pronti ad arrendersi.

    — E venite, allora! — accennano i nostri, di rimando.

    Gli Austriaci scavalcano i ripari e scendono in quella «zona di nessuno» che sta tra le due trincee. Sono senz’armi e tengono sempre le braccia alzate.

    — Venite avanti, — grida il Tenente, E quelli non si muovono: sembra che non capiscano.

    I nostri allora escono, senza sospetto; ma si sono appena avvicinati, che ad un tratto gli Austriaci si gettano a terra, tutti insieme, e dalla trincea, dietro ad essi, parte una scarica di fucileria.

    — Ah, traditori! A noi, figliuoli! Savoia! I nostri si scagliano alla baionetta, per punire l’inganno; e la furia è tale, che in un momento hanno occupato la trincea, e la oltrepassano e spezzerebbero anche la seconda linea austriaca, se l’ordine non fosse di ritornare.

    Tra i più valorosi — indovinate un po’ — tra quelli che si sono spinti più innanzi, è il nostro Saponetta, il quale ha dimenticato la prima ferita, se n’è buscata un’altra, meno leggiera, ma s’è pur guadagnato quel bel segno di ardito che sta tanto bene sulla manica grigio-verde della divisa.

    Perciò ora gli sta benissimo anche il suo nome di Vittorio, nome glorioso di Re, soldati e galantuomini. Ora, nessuno più lo chiama Saponetta. Anzi, quando Naso se ne scorda, si corregge subito ridendo: — Sap.... Sapresti dirmi, Vittorio.... — e gli domanda una cosa qualunque, tanto per dire: gli domanda, per esempio dove, nasca la pianta del coraggio.

    — Nasce nei campi — risponde Vittorio — dove si falcia l’erba traditora.

    Ed ha ragione. Certi ragazzi timidi come lui, son divenuti leoni dopo che hanno conosciuto la slealtà, il tradimento dei nostri nemici.




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