Edizione Italiana
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    Maria Pezzé-Pascolato

    Bombardamento

    Un suono di campane a stormo; un silenzio.... poi un colpo terribile, che scuote la casa dal tetto alle fondamenta.

    — Ah, Signore, ci siamo! — mormora l’infermiera impallidendo, e guarda le facce smunte, le teste bendate nelle tre file di lettucci che riempiono la corsia.

    Sono i feriti austriaci, che la donna italiana assiste pietosamente.

    Allo schianto, qualcuno per istinto s’è rizzato a sedere sul letto, qualcuno s’è provato a metter fuori una gamba dalle coperte, ma è ricaduto spossato; altri ha aperto un momento gli occhi e li ha susubito richiusi, o troppo stanco o troppo rassegnato ormai al destino.

    Un giovinetto biondo convalescente è sceso dal letto e zoppicando è andato a spalancare le vetrate delle finestre e a chiudere le imposte. Si vede che ha pratica di quella musica.

    — Sicuro; i vetri.... — L’infermiera si scuote e si affretta anch’essa ad aprire le vetrate.

    Il Maggior medico si affaccia alla porta della corsìa: — Signorina, venga giù! Stiamo trasportando i nostri dal secondo piano al refettorio terreno. Questi, naturalmente, non si possono muovere: ci sono troppe scale e troppo poco posto.... Scenda, signorina!

    I feriti non comprendono le parole, ma comprendono il gesto d’invito, e una espressione di ansietà si dipinge sui visi pallidi.

    La voce della donna, che prima aveva tremato, ora è ferma: — No, grazie, signor Maggiore; rimango. Tanto, qui o giù è lo stesso, e se non si può portar giù anche loro....

    Il Maggiore dice semplicemente: — Va bene, — ma dà un’occhiata di paterna approvazione alla figurina bianca: — Mi rincresce di non poter rimanere anch’io; ma debbo attendere al trasporto dei nostri.... — e ridiscende in fretta.

    Un altro silenzio — la corsìa è quasi buia ora che tutte le imposte sono accostate — poi, uno scoppio tremendo, vicinissimo; un crollo, ed un crepitar di scheggie e di macerie contro il muro dell’ospedale.

    — La chiesa! Questa è caduta sulla chiesa.... Un miagolìo, e poi un altro schianto, e un altro, e un altro....

    — Questa è caduta nel cortile dell’ospedale ed ha abbattuto il muro di cinta. Pur che le scheggie non arrivino sino ai nostri malati, nel refettorio.... Fermo, Franz! Volete un po’ d’acqua?

    E l’infermiera si china sul letto di quel nemico tanto debole, da non poter accostare da sè il bicchiere alle labbra.

    Quando finalmente il bombardamento è cessato, si riaprono le imposte.

    La bella cupola della chiesa, a pochi passi dall’ospedale, è crollata: a traverso alla breccia aperta dai proiettili austriaci, il sole illumina il grande Crocefisso dell’altare, che solo è rimasto ritto in mezzo al cumulo delle macerie.

    La cara, la bella chiesa del suo paese....

    Alla vista di quella rovina, gli occhi dell’infermiera si riempiono di lacrime, ed il piccolo convalescente austriaco si ritrae dalla finestra come oppresso dalla vergogna.

    Dinanzi alla donna italiana ch’è rimasta con loro nel momento del pericolo, egli si vergogna del modo di far la guerra, dei suoi fratelli austriaci, che non risparmiano nè le chiese nè gli ospedali.




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