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Maria Pezzé-Pascolato
Fra una trincea e l'altra
— Accidenti alla luna! Bisogna aspettare ancora — dice il soldato Naso, dopo aver guardato da una feritoia.
Naso non è il nome vero, ma un soprannome; perchè dovete sapere che in quella trincea tutti hanno il loro soprannome; e chi l’ha portato da casa, e chi l’ha ricevuto lì per lì dai compagni. Naso, naturalmente, l’ha portato da casa, insieme con quel nasone che gli occupa tutta la faccia; ma ha piacere che lo chiamino così, perchè ogni volta gli par di fiutare l’aria del suo villaggio.
— E tu buttale una corda, e tirala giù!
— Chi?
— La luna! Non l’hai con la luna?
— Non fare lo sciocco! Ti pare che si possa aver voglia di scherzare sin che lui è ancora laggiù?
— Naso ha ragione, — approva serio un soldato anziano con tanto di barba; — Sin che lui è laggiù, non è tempo di scherzare.
Lui è il loro bravo sergente, ucciso poche ore avanti in uno scontro di pattuglie. Dalla trincea austriaca era cominciato tale un fuoco d’inferno, che bisognò tornarsene senza poter riportare il corpo nelle nostre linee.
Ora i soldati aspettano con impazienza che la luna tramonti per andare a ricuperarlo. Tutti vorrebbero andare, ma Naso tronca i discorsi: — Voialtri a casa avete un branco di figliuoli, e per queste faccende è giusto che vada chi figliuoli non ne ha.
Anche il Tenente riconosce che è giusto.
Vanno dunque Naso e Cencio, detto il Diavolo Bianco. Questo soprannome, Cencio non l’ha avuto dai compagni, ma dai prigionieri austriaci, che se lo son visto piombare in mezzo alla neve, dentro a una buca degli avamposti, e si sono arresi credendo guidasse chi sa che drappello. Invece, era solo.
Brancolando nell’ombra, rattenendo quasi il respiro, i due soldati strisciano tra i cespugli. Ad ogni sgretolar di sassi, ad ogni stormire di foglie, si fermano in ascolto.
— Dev’essere qui. — E frugano tra l’erba. Finalmente, eccolo: è lui.... Commossi, si chinano sul corpo del caro compagno, lo sollevano delicatamente, quasi avessero paura di fargli male. Brancolando nell’ombra, rattenendo quasi il respiro, i due soldati strisciano tra i cespugli. e stanno per caricarselo sulle spalle, quando un lamento li arresta.
— Sarà qualche animale.... — Fanno per avviarsi, ma il lamento si ripete, più distinto, lì presso.
Cercano dietro ai cespugli, e, rannicchiato sotto lo sporto d’una rupe, scoprono un ferito austriaco. Per quello che si può capire dev’essere morente. Poveraccio! Chi sa il sangue che ha perduto, e l’arsione che avrà.... Naso porge a Cencio la sua fiaschetta; Cencio si inginocchia e il ferito beve avidamente. Poi sembra fare uno sforzo per sollevarsi....
A un tratto, un colpo di rivoltella, sparato a bruciapelo, rasenta il berretto di Naso.
— Ah, canaglia! È codesta la vostra maniera di dire grazie? — E Cencio strappa la rivoltella di mano al ferito, che ricade a giacere.
— Se non fosse in quello stato, meriterebbe d’ammazzarlo! — dice Naso, che è arrabbiato sul serio.
— Già; ma i moribondi, noi Italiani usiamo lasciarli morire in pace, anche se sono furfanti.
Sdegnoso, il Diavolo Bianco si rialza e guarda verso la trincea nemica, sull’altura di fronte.
Pare che non abbiano udito il colpo lassù.
Ma quest’uomo disteso a terra, che spara a tradimento contro chi gli porge da bere, è degno di quei suoi fratelli austriaci, i quali hanno inventato le mazze ferrate per ischiacciare la testa ai feriti.
I due soldati rimangono ancora un momento in ascolto; poi sollevano con pietosa cura il corpo del loro compagno, e silenziosi risalgono su per l’erta, verso la linea italiana.