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Maria Pezzé-Pascolato
La risposta di Caino
Sì, tutto questo è vero. Siamo entrati in guerra per conquistare un giusto confine e per liberare le terre italiane ancora soggette al giogo straniero; per assicurarci le basi navali necessarie sull’altra sponda, e perchè i mari sieno liberi e senza insidie. La guerra era oggi inevitabile, se non volevamo avere domani i Tedeschi in casa nostra, se non volevamo domani esser lasciati soli a difenderci.
Si, anche per questo si combatte; ma si combatte sopra tutto per qualche cos’altro, per qualche cosa che sta al disopra di ogni ragione, pur legittima, d’interesse nostro. Siamo entrati in guerra per la giustizia e per la libertà; perchè quando giustizia e libertà avranno trionfato, non vi potrà più essere guerra, non sarà mai più possibile il rinnovarsi di stragi come queste.
Ma nessuno era ancora venuto contro di noi, nessuno ancora ci aveva assaliti: non fu dunque pazzia entrare spontaneamente nella lotta e tirarci addosso un flagello così atroce?
Nessuno ci aveva assaliti; ma era stata assalita la Serbia, era stato assalito e torturato il Belgio.
La Serbia, il Belgio sono lontani.... Non potevamo rimanere neutrali? Che c’entravamo noi nei fatti loro?
Caino rispose al Signore: — Sono io forse il guardiano di mio fratello?
Ed anche noi avremmo potuto dare la risposta di Caino: — Siamo forse noi i difensori della Serbia e del Belgio?
Eppure, quando vediamo un uomo grande e grosso che batte un bambino, il sangue ci ribolle, se abbiamo sangue nelle vene....
Ma, a parte questo naturale sentimento di giustizia, per cui non si può tollerare che un violento opprima un debole, non è niente affatto indifferente per il nostro bene che una nazione prepotente come la Germania possa opprimere una nazione debole come il Belgio.
Vuol dire che non c’è giustizia nel mondo, e tutti abbiamo bisogno che giustizia ci sia.
Pensate. Anche Genova è lontana da Messina, anche Brindisi è lontana da Milano; ma non è indifferente per un cittadino di Messina che a Genova si possa saccheggiare una casa senza incorrere nel giusto castigo, come non è indifferente per un cittadino milanese che a Brindisi una donna possa essere assassinata e l’assassino rimanere impunito; come non è indifferente per un contadino siciliano che in una strada maestra del Piemonte si possa svaligiare un viandante e sfuggire alla giustizia.
Gli è che la sicurezza di ciascuno di noi, la pace delle nostre case, delle nostre famiglie, son protette dalla legge di giustizia riconosciuta eguale per tutta l’Italia.
La legge dice che la vita dei cittadini è sacra, che non si può rubare nè ammazzare, e se alcuni (pochi, per fortuna!) vogliono rubare od ammazzare egualmente, c’è chi fa osservare la legge e punisce i trasgressori.
Così la sicurezza delle nazioni dipende dall’osservanza di quella legge di giustizia per la quale una nazione prepotente non potrà mai più assassinare una nazione piccola e debole; per la quale ogni nazione, piccola o grande che sia, — cioè ogni gruppo d’uomini che parli la stessa lingua ed abbia comune la storia, la tradizione, le costumanze, — ha diritto di vivere unita, libera, in pace.
Perchè i popoli possano vivere securi ed attendere alle opere di pace, e non caricarsi di spese gravose per la eterna gara degli armamenti, e di tasse per sopperire a queste spese, perchè, insomma, non vi sia più ragione di guerra, bisogna che sia riconosciuta tra i popoli, come tra gli individui, la legge di giustizia per cui non si può aggredire nè opprimere un debole.
Presso i selvaggi, dove non esiste legge nè disciplina, bisogna farsi giustizia a pugni e a coltellate. E le nazioni, anche le incivilite, debbono per ora farsi giustizia con le armi, perchè il diritto di ogni nazione alla vita ed alla libertà non è ancora riconosciuto da tutti, come lo è il diritto dell’individuo nella società civile.
Si creò bensì un tribunale delle nazioni, al quale esporre le ragioni d’ognuno, per decidere le questioni pacificamente; ma la Germania e l’Austria non vollero aderirvi, o se per qualcosa vi aderirono, poi si risero dei patti conchiusi, dicendo che i trattati non sono altro che pezzi di carta e che all’ultimo il diritto internazionale si riduce al diritto del più forte, e chi ha più cannoni li adopera.
Noi facciamo la guerra insieme con i nostri potenti alleati appunto contro questo diritto del più forte, che non è il diritto insegnatoci dalla nostra madre Roma, che non è il dirigo insegnato dalla legge di Cristo, ma brutale violenza, crudeltà, barbarie.
Noi, che non abbiamo voluto la guerra e che alla guerra non eravamo per nulla preparati, ma la sopportiamo serenamente, come una dura necessità, noi facciamo la guerra contro la guerra, perchè un così terribile spreco di vite e di forze non si possa ripetere mai più.