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Mario Rapisardi
Alla Polonia
E Dio drizzò la fionda
Dell’ardito garzone in Terebinto!
Come alata saetta
Fischiando per l’azzurra aere profonda
Colpì il sasso fatale
Dell’orgoglioso Filisteo la fronte,
E lo distese estinto!
E dalla sacra vetta
Precipitoso si diroccia a valle
Il profetato masso,
E fra balze e burroni apresi il calle.
Trema al nuovo fracasso
L’Idolo della colpa
Che d’oro il capo ed ha d’argilla il piede,
Per cui di sangue umano
Spesso tinse la sacra onda il Giordano!
Come tacer fra tanto
Uragano di popoli potevi,
O del Nieper reina,
Che sì lunga versasti onda di pianto?
Fra questa di tiranni ardua rovina
E rovesciar di troni
Ed infranger di scettri e interminato
Di vittorie fragor, ch’empie di suoni
E di stupore il più remoto lido?
Come tacere al grido
De le vittoriose itale squadre;
Come al tuonar del combattuto Egeo,
Dove il figlio di Despo e di Cordato
L’inno intuona di Riga e di Tirteo,
Tu, che fosti di prodi esempio e madre?
Magnanima tradita!
E da la profanata urna dei forti,
Dove l’Etmanno altero
La nomade piantò tenda abborrita
E l’involate avene
Il celere cibò tracio destriero,
Ne la linfa natal del Boristene
Terso il civile alloro
E la regal corona,
Te vide il mondo ed inarcò le ciglia,
Chè morta ti credea, levar superba
La maestà dell’antica persona,
E rotear la spada irruginita
Ed appuntar la carabina al core
Del minaccioso invan barbaro Scita!
E fu per l’aere un cozzo
Di fulminate spade,
Ed infranger di petti, ed ululato,
E vomitar di sitibonde schiere,
E sacrifici, e irreparabil clade,
E calpestar di lacere bandiere,
E canti di vittoria, e disperato
Lottar con l’ira e con la morte, e lunghe
Veglie, e pallide cure, e lo spavento
Piegar sul Volga l’irte chiome al vento.
Ed ecco il sanguinoso
Campo pullula eroi. Tacito e fiero
Sorge bieco lo sguardo un disdegnoso,
Ed è insegna di morte il suo vessillo.
Ei, de’ sofi i securi ozi sprezzando,
E gl’infecondi studi,
Tolse un acciaro e si scagliò primiero
Nei perigliosi ludi,
Fortunoso! e vi colse i primi allori.
Al fianco suo si serra
Stuolo di generosi, e come nembo
Piomban sui traditori.
Così nell’ardua prova
Disserrar vidi gl’insubri leoni
Su le teutone squadre, attorno stretti
Al gonfalone del Carroccio, e brando
Era loro la patria e mura i petti!
Oh bello, oh grande! E impallidían pugnando
Anzi a quei fremebondi
Quelle turbe di schiavi
E d’avidi baroni
Sol venuti a predar gl’itali campi;
Chè docile credean greggia d’ignavi
Chi di lor sangue intiepidivan l’erba.
E vidi allor la ghibellina insegna
Morder più volte il suolo,
E l’aquila superba,
Invan stridendo a le natíe montagne,
Saldar le piaghe e ritentar il volo.
De le tue glorie al grido
Chi esultar non poteva? E tu per lei
Magnanimo cadevi,
Che all’Italo leon cogliesti a canto
Gl’invidiati allori
E di Bergamo bella orbavi il nido:
E tutta Italia applaudisce in pianto.
Oh generoso, oh santo
L’ardor che ti spingea sotto quel cielo,
Che ne la gloriosa eco ancor suona
La parola di lui che primo ardía,
Tesmoforo immortale,
Degli arcani del sol tentar la via.
Chè nei subdoli o pigri ozi di Roma
Cingere ambisti, se non patrio serto,
L’ultima fronda a l’onorata chioma.
Oh generoso, oh santo
Di libertà e di gloria italo zelo!
Ov’è causa d’oppressi, ovunque è suono
Di liberi trionfi,
Ovunque è pugna ad atterrare un trono,
Non più, come solea, superba e fiera,
Ma sorella ai gementi,
Sventolerà l’italica bandiera!
Terra dei prodi, addio.
A l’alba di tue glorie, auspice bardo,
Fremente la sdegnosa arpa flagello
E ti mando su l’aure il mio saluto.
Forse, nè lungi è il dì! spirto canoro,
L’alato accenderò estro novello
Quando intero sul capo il diadema
Vedrò posarti ed un più saldo alloro!
Nè lungi è il dì! Chè da la sponda estrema
Già cupo e tempestoso odo il muggito
Dell’onda minacciosa;
E il leon di Podolia alza il ruggito,
E l’armi squassa, ed armi freme anch’esso
Di Volìnia il guerriero.
Fiuta al rombo lontan de la mitraglia
L’aere di mortal polve odorosa
Il destriero d’Ucrania ebbro di pugne
E, il terren de l’inqueta ugna battendo,
E svolazzando l’ispida criniera,
Via tra le combattute aie si scaglia.
Tal segui, o gloriosa,
Segui, per dio! Da le caucasee cime
Scende ingorda di stragi e di rapina
La Stinfalide atroce
Che ferreo il rostro ed ha di piombo i vanni;
Spieghin pure la stolta ira feroce
Sitibondi su te tutti i tiranni.
Segui; nel tuo valore ecco si spunta
La scitica saetta:
Ti fanno una e possente
Due secoli di pianto e di vendetta!
Maggio 1863