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Mario Rapisardi
La cucitrice
(per un dipinto di Calcidonio Reina)
SEDUTA sopra un trono d’ossa, a la scialba luce
Del tramonto, in un vasto campo la Morte cuce,
Infaticabilmente cuce, avvolta in un bianco
Lenzuolo, incoronata d’asfodeli: al suo fianco
Una forbice acuta dal pernio adamantino,
Da l’affilate lame d’acciajo; su’l cuscino
Di porpora, ove adagia i piedi ischelitriti,
Che mostran da la veste Candida i gialli diti,
Una civetta immota dagli occhioni ritondi
Di topazio; lontano per gli spazj profondi
Un suon d’orgie e di fieri gemiti. Ed ella, sopra
Le ginocchia piegando il teschio, affretta l’opra:
Un’ampia coltre nera di velluto, che ingombra
Con ricchi ondeggiamenti l’arido piano. L’ombra
S’avanza, ed ella cuce: infaticabilmente
Mena tra le falangi rigide il rilucente
Ago d’acciaro, e l’aureo fil che mai non si spezza
Tira tira con alta mano al lavoro avvezza.
E più e più s’addensano, s’addensan l’ombre; ed ella
Assidua sgobba al raggio d’una vermiglia stella.
L’opera è presso al fine; e già fornita; scocca
Un’ora; ed ella, a un ghigno dilatando la bocca,
Balza, la coltre stende, gli stinchi scricchiolanti
Agita al ballo, e l’aure empie di strilli e canti.
―Voi che in seta ed in velluto
Sbadigliando le groppe adagiate,
E su lane istoriate
Strascinate augusti il piè,
Voi che in morbido origliere,
Aspettando del sole il saluto,
Vi crogiate, vi crogiate
Come papi e come re;
O paffuti e tondi eroi,
Che dal lombo d’Anchise calate,
O da l’anca d’un droghiere,
E il mestiere di godere
Con gran plauso esercitate,
O paffuti e tondi eroi,
Qui posate, qui posate:
Questa coltre è ben da voi.
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A la plebe, a la bordaglia,
Che a servire ed a piangere è nata,
Altra sorte ha il ciel serbata
Di lei degna, oscura e vil:
Per lei, viva e morta infame,
C’è la forca, il baston, la mitraglia,
C’è la fame, c’è la fame
Che la porta al nero asil.
O paffuti e tondi eroi,
Che dal lombo d’Anchise calate,
O da l’anca d’un droghiere,
E il mestiere di godere
Con gran plauso esercitate,
O paffuti e tondi eroi,
Qui posate, qui posate:
Questa coltre è ben da voi. —
Così canta per l’alta notte. A le voci strane
Sbucano spensierati da le marmoree tane
(Tane che sembran reggie) da’ casini, odorosi
Di muschio e di godute carni, da’ clamorosi
Teatri, da le bische, ove in abito nero
Di matrona panneggiasi la Frode, e con austero
Volto di gentiluomo il Furto infila i guanti;
Dalle tradite alcove sbucano i tracotanti
Figli de la Fortuna, sfatti da l’ozio, bianchi
Da la veglia, d’amore sazj, di danze stanchi,
Tumidi e sofferenti di cibo e di piacere,
(Poveretti, il destino li ha dannati a godere!);
Si affrettano, si pigiano, s’abbandonano vinti
Dal sonno, o da la ferrea necessità sospinti,
Là nel campo deserto, ove con man secura
Li ravvolge la Morte ne l’ampia coltre oscura.
Giustizia 1883