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Mario Rapisardi
Monumenti
CALAN sopra stridenti carri da le stremate
Montagne i marmi; fervono dentro l’effigïate
Forme i metalli sacri agl’immortali. Canta
Degli aurei lucri al suono l’artefice, che tanta
Folla d’eroi discendere
Mira nel tetro asil.
Canta. Già di marmorei, di bronzei simulacri,
Di trofei, di colonne, d’archi ai potenti sacri
S’imboscano le piazze; torreggia ad ogni passo
Un redentore, un martire, un galantuom di sasso,
A cui d’intorno immemore
Bulica il volgo vil.
Insuperbisci, o santa madre Saturnia! In poco
Mancherà certo a tante postume glorie il loco:
Poi che la Morte, amabile Circe, muta fra noi
Non gli uomini in cignali, ma i cignali in eroi;
E di marmoree plejadi
T’ingemma l’arte il suol.
Corone a lor! Che importa, se stracca e macilenta
Una ciurma di vive larve curvata stenta
Su l’altrui gleba, dove semina l’ossa? A lei,
Se un covo e un tozzo manca, non bastano i trofei,
Onde la gloria italica
Poggia a l’olimpo il vol?
Spumeggi altrui nel colmo bicchier l’ebbrezza; bacchi
Felicità per l’aule de’ blasonati ciacchi;
Altri gioisca i letti, in cui molle si sdraja
La voluttà, che i corpi meglio che l’alme appaja;
Pieghi la Fama i facili
Lombi a chi in alto sta.
A voi, lombrichi in volto d’uomini, a voi di prenci
Ludibrio, la natura diede in retaggio i cenci;
A voi la Legge, druda di chi più le fa scorno,
Per l’opera d’un anno dà la mercè d’un giorno,
L’onta, l’error, l’infamia
La Legge equa a voi dà.
O vermi, brulicate, affamate, marcite;
Ne’ baratri fangosi, nel dolor seppellite
L’anime senza nome! La dolce patria intanto
Su la tomba del suo re sparge l’oro e il pianto;
E per te, vil progenie,
Pane e sospir non ha.
Giustizia, 1883