Edizione Italiana
    Library / Literary Works

    Mario Rapisardi

    Per l'eccidio di Dògali

    Giù dai ghermiti scanni,
    Razza maligna, inetta,
    Che fra venali inganni
    Pompeggiandoti abjetta,
    Raccogli infami frutti
    Dal disonor di tutti!

    Ah! non bastò di questa
    Patria incestare il seno?
    La veneranda testa
    Premer di giogo osceno?
    Offrir nudo il materno
    Fianco al barbaro scherno?

    Ond’ella, a regnar nata,
    Con tremulo ginocchio
    Segue, putta spregiata.
    Il tenebroso cocchio,
    Su cui breve fortuna
    Due manigoldi aduna.

    Misera, e invan tu speri
    Con civettar codardo
    Da regj masnadieri
    Impetrar tozzo o sguardo:
    Ahi! con viltà e misfatti
    Onta e miseria accatti,

    E stragi. Oh desolati
    Campi! Oh cori d’eroi
    Nell’alta ombra gittati
    Non da voi, non da voi,
    Avide di rapine
    Ferrigne orde abissine.

    Anzi da te, nefando
    Vecchio, che sol per cieca
    Libidin di comando
    L’italo onor con bieca
    Mente fidando ai ladri,
    Le fiche a Italia squadri.

    Qual dall’immane insulto
    Pregio o vendetta? Arcigna
    Guata Albione; occulto
    L’ire fomenta e ghigna
    Il démone sinistro,
    Che la Sprea move e l’Istro.

    Dal vigilato covo
    L’orgoglio ibrido freme,
    E al cor d’Italia novo
    Tesoro e sangue spreme:
    D’orbe fidanze gravi
    Salpan ferrate navi.

    Brillan su la guernita
    Tolda gl’itali figli,
    Cui tarda espor la vita
    Ai perfidi perigli,
    Che coi predoni a gara
    La terra e il ciel prepara.

    Volate, o generosi
    Figli, all’infausto lido;
    Turbate i sanguinosi
    Ozj allo stuolo infido.
    Che su la strage inulta
    Ebbro di sangue esulta.

    Vincete. Oh, scarsa, incerta
    Vittoria! Ecco, dal grembo
    Della sabbia deserta
    Strano improvviso nembo
    Sorge, e in ferina guerra
    II vessil nostro atterra.

    Voi là nel baluardo
    Ultimo accolti, invano
    Con ansioso sguardo
    Tentate il mar lontano.
    Se a voi pochi e mal vivi
    Patrio soccorso arrivi.

    Ma per l’immensa arsura
    Delle voraci arene
    Solo la Febbre, oscura
    Liberatrice, viene ;
    E in voi dall’ignea bocca
    Funesti aliti scocca.

    Ahi, nè certezza o speme
    D’onore o d’util nostro
    Lenirà l’ore estreme
    Del sagrificio vostro,
    Non le cure affannose
    Delle imprecanti spose.

    Ben presso al limitare
    Della fredda quiete,
    Sorger fra cielo e mare
    Un’alta Ombra vedrete,
    Squallida il seno, indoma
    Ancor che oppressa, Roma:

    E non per questo, o amati
    Petti, pietosa grida,
    Reggendo a infaticati
    Studj con alma fida,
    Il braccio armaste e il core
    Di ferro e di valore!

    Ardea nelle capaci
    Menti un’altera idea:
    Piombar serrati, audaci
    Su la grifagna rea,
    Che l’ultima latina
    Terra aduggiando inquina.

    Oh per le Giulie vette
    Pugne! Oh piani fumanti
    Delle nostre vendette!
    Oh entusiasmi santi
    Di dar la vita a patto
    Del fraterno riscatto!

    Popol, cui spada e mente
    Da servitù redime,
    Non peregrina gente
    Mercanteggiando opprime:
    Ma libertà, per cui
    Vive, fa vita altrui.

    Cada chi primo in petto
    L’obliqua smania accolse,
    Onde al natio ricetto
    I vostri animi tolse,
    E li scagliò in lontane
    Piagge a conquiste vane!

    Lui non amor di fama,
    Non furor d’alte imprese,
    Ma insidiosa brama
    Di rei traffichi accese ;
    Nè l’empia sete or langue
    Per mareggiar di sangue.

    Ma se ancor nei gentili
    Petti la patria spira,
    Se da computi vili
    Non è sedotta l’ira,
    Che in un’ora d’ebbrezza
    Catene e scettri spezza :

    Se non per gioco ho cinta
    La mia terza corona.
    Se la mia gloria estinta
    Non è tutta, nè suona
    Obbrobrio il nome mio ;
    Se Roma ancor son io,

    Troppo alle tue volpine
    Arti, o fatal, durai ;
    Sopra le mie rovine
    Assai ghignasti, assai
    Fu il danno e la vergogna:
    Carnefice, alla gogna!


    Africa orrenda (Genn. ’87)




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