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Nicola Sole
Addio a Giuseppe Verdi
Addio! Queste azzurrine onde, quest’aure,
De la tua nota poderosa esperte,
Te ridonino ai campi, ove solingo
A l’arte vivi ed a l’amor. Ch’io senta
Sovra il cor mio ripalpitar codesto
Cor, che fe’ tanti palpitar: ch’io senta
Ancora il tocco de la man che scrisse
Di Manrico il lamento. Anche un istante,
Ed al tuo sguardo falliran pel cielo
Questi marmorei poggi, e quel Vulcano,
Come il tuo core, ardente, e, come il tuo
Core, profondo: scenderà pensosa
La Sirena fra l’acque, e le gentili
Ninfe de l’Echia cercheranno invano
I tuoi sguardi aquilini,
E la fosca e severa onda de’ crini.
Addio! La mente con più forte amore
Guarda le cose che sparîr. Siccome
Più bello appar quanto men presso il miri,
Pennel fiammingo, le rimote gioie,
Le ricordi o le speri, assai più vaghe
Ridono a l’alma. Un crepuscol rosato,
Una nebula d’or confonde e vela
Quanto v’ha di caduco, e a la speranza
La memoria somiglia. Oh questi lochi,25
Ove sì luce il ciel, vengano teco
Sul paterno Eridàno! Oh lungamente
Fra i campi aperti e le novissime ombre
Di tue ville sorgenti, innanzi al guardo
Come incantata vision ti girino
Queste piagge ridenti,
E sul golfo seren gli astri lucenti!
Addio! Possan gl’Insubri estri, felici
Del tuo ritorno, da la man rapirti
La più vezzosa melodia, che renda
Di Napoli i tramonti e i caldi incensi
Di Mergellina: perocchè veraci
Ha la Musica pure i suoi profumi,
I suoi mille colori; e allor che torna
L’armonïosa allodola da l’alto,
Molli del traversato etere ha l’ali,
E il peregrino augel, quando a le valli
Lieto riviene messagger di aprile,
Esala ancor da l’iridata piuma
Del Levante gli aromi. Oh le primiere
Veglie di tua reddita! Oh quai celesti
Note pe’ campi intorno
Ridiranno a l’Insubria il tuo ritorno!
Addio! D’ogni memoria, onde sì raro
Mi sorride il passato, eccoti in cima!
Quando qui nova ogni tua nota spiri,
Di tenerezza balzerò siccome
A l’improvviso ricordar d’un primo
Nobile amore. Io l’ho distretto al seno
Come fratello, penserò, codesto
Potente artista! La sua man talora
Ai miei carmi impennava ali di foco!
Al cembalo il mirai, come un Apollo
Tornante a l’ara; l’Armonia più nova
Da le sue dita uscìa, quasi rifatta
Da l’afflato del dio: salian le note
Blandïenti e dimesse intorno a lui,
Come la Musa achea
In pugno a Giove i fulmini vedea.
Addio! Consorte ne l’amor de l’arte,
Se non di gloria, ti son io. Se chiaro
Agl’Itali il mio nome ancor non sona,
E forse mai non sonerà, quest’una
Gloria mi valga, che d’aperta fede
So proseguir quell’are, ove peranche
Sacrificar non oso. Ad una meta
Moviamo insieme, e per diverse vie:
Tu glorïoso e grande, io di sì breve
Luce precinto; tu felice e lieto
De l’assolte promesse, io d’impotente
Speme agitato! E nondimen tramonta
Per tutti il sole, ed a lontane arene
L’umanità viaggia! Oh, tu che il puoi
(La gloria no, ma questa
Possa t’invidio!) sul cammin la desta!
Addio! Pari a quel fiume, onde segreta
Rompe la vena e soverchiando allaga
De le Sfingi il paese e lo feconda,
Dai tranquilli recessi, ove ritorni,
I popoli consola. Or non invano
Tanto al poter de l’armonia concede
L’età che volge. Ricordanza è forse
De le stelle perdute, e al cor de l’uomo
Soave sì la Musica favella,
Come soave a l’esule risona
L’idioma natio; forse ch’è l’eco
Del novissimo accento, onde Iehòva
A l’argilla parlò, divino accento,
Che fra le sparse lingue ancor si aggira
Sconfinato, profondo,
E la lingua natia ricorda al mondo;
Certo, una nota per diverse prode
Tutte genti commove: e mentre assiso
Ne’ lucidi teatri il sapïente
Secol civil batte le palme e piange,
Balza il selvaggio da le sue foreste
Di quella nota a l’eco, e ignoti climi,
Scolorando, sospira. I monti e i mari
Fulmina il Foco e i limiti divora;
L’Elettrica favilla omai si è fatta
Veicol del pensiero, a cui somiglia;
E d’ogni lito si ricerca a prova
La disgregata umanità, presiede
La Musica a gli amplessi, e li provoca,
De l’universo amore eco infinita;
E là, donde ella spira,
Più l’uom gl’innamorati occhi rigira!
Ben le musiche tue (rompano in onda
Da le notturne orchestre, o sospirose
Volino per l’aperto aêre, o lungo
Le profumate sale errin tra i fiori,)
Volgono in fondo un non so che di ardente
Che fra il dolor balena e la speranza,
Un non so che d’infermo e d’inquïeto,
Che lontano lontan vaga, nè tanto
Lunge va l’alma, che non sia più vasto
Di tua nota il confine! Altre melodi
Seguiranno a le tue, però che tutto
Cangia quaggiuso, e noi polvere siamo
Al di qua de le nubi: eppur d’amore
Proseguito verrai lungo, profondo!
Oh non invan cotanto
Sparger ne festi d’ineffabil pianto!
Addio! Come una foglia arida, inserta
Fra le ghirlande de la festa, oh venga
Questo pallido addio fra le brillanti
Gemme che l’Arte e l’Amistà fra noi
Gareggiando ti offrir! Fin che su l’onde
Potrò vederti, indugerò sul lido;
E allor che fra i lontani ultimi flutti
Agl’intenti occhi miei sarai mancato,
Ai miei silenzi tornerò, cantando
Meco nel pensier mio
Colle tue note sconsolate «Addio!»
Napoli, Aprile 1858.