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Ridolfo Campeggi
La morte di Florigella
Fileno, Elpino
Fil.
Poi che lasciai me stesso
Dentro un candido seno,
Abbandonando l’Arno
Irrigator de le feconde rive
Del Tosco industre, e forte,
Qual mi sia stato, e quale
Hor io mi viva Elpino,
Leggilo per pietade in questo aspetto,
In cui mostra il dolore,
In cui spiega la sorte
Con gelato pallore
L’insegne de la morte.
Elp.
L’angoscia ove deriva
Quel duol, che l’alma opprime, e che ti face
Incenerito il viso,
Languido il seno, e non ben fermo il passo,
Fileno, è il crudo Amore.
Quel d’Alma traviata
Pertinace desire,
Quel di perduto core
Ostinato volere,
Quel che porta mai sempre impresso, e scritto
Con lettere di fiamma,
Ne la fronte ripiena
Di temerario ardire,
O’ soffrire, ò fuggire.
Qual meraviglia è dunque,
C’habbi cenere il volto,
Se tieni il foco in seno?
Consolati Fileno,
Poi che il tuo affanno è infermità d’Amore:
E l’amoroso male
Grave è sì non mortale.
Fil.
E pur la voce Amore
Voce di morte esprime,
Che m’intuona su ’l core
Con iterato suono: ah more, ah more.
Deh quale occulto affetto
A sospirar m’invoglia?
Ahi qual nova cagione,
A’ lagrimar mi mena?
Elp.
Quasi che il sospirare,
Come che il lagrimare
Proprij effetti non sian di core amante.
Fil.
Lasso, che i miei sospiri
Son di morte sospiri, e non d’Amore;
Misero, che il mio pianto
Licor non è de gli occhi,
Ma sudore è de l’alma,
Che moribonda stassi
Nel seno agonizando.
Elp.
Questi accenti infelici
Sono appunto Fileno,
Vaneggiamenti estremi
D’huom, che co ’l pie già prema
Il confin de la Morte:
Ma chi per prova intende
Quello, che sia il Letargo
D’un infermo desio;
Vede pur troppo chiaro,
Che il delirio del core,
Un effetto è d’Amore.
Sò ben, sò ben anch’io
Da qual fonte derivi
Il fiume del tuo pianto;
Lungi da FLORIGELLA
Spirto de tuoi desiri,
Fiato de tuoi sospiri
Fra mille aspri pensieri,
Con mille acerbi guai.
Brami qual che disperi,
Quel che speri non hai,
E’ quel che non hai tù, forse t’aggrava
Che da la vita amata altri riceva.
Fil.
Pur troppo t’apponesti
Cortese Elpin, pur troppo dolcemente
Le latebre scopristi
De la mia piaga occulta;
Ma non già questo è solo
Il duol che mi trafigge;
Ma non già sola è questa
La pena che mi accora;
Ma qual altra sì sia, non saprei dirti.
Sò ben lasso, ch’io sento
Un incognito affetto
Dirmi talhor nel seno,
Piangi piangi Fileno.
Sò ben, ch’ad hora ad hora
Il sussurar del hora,
Il mormorar de l’onda,
Il canto de gli Augelli,
Altri inustano al sonno,
E me chiamano intanto
A le querele, al pianto.
Elp.
Son del desio gemelli Amore, e tema.
Che come esser non puote
Belleza senza amore;
Cosi non sia già mai
Amor senza timore;
Questi c’hor narri appunto
Sono miseri effetti
Di tema inamorata;
Lungi da Florigella
Che è il Sol de gli occhi tuoi.
Ne le tenebre oscure
D’amara lontananza,
Come in profonda notte
Pur di mirar ti sembra ombre, e fantasmi:
Ma sperar anco devi
Ch’apporti al core amante,
Doppo lungo aspettar lieto il ritorno
L’Alba, l’Aurora, il Giorno.
Fil.
Tanto hà vita mia vita,
Quanto pur la mantiene
Questa d’incerto ben più incerta spene.
Ma qual lettera chiusa
Ne la polve rimiro;
Sarà forse caduta
A’ Bifolco imprudente:
O’ quanto poco è saggio
Chi confida à la carta
Senza fidata scorta
Importante segreto:
Vediamo Elpin che dica.
E’ sarà questo un desviar la mente
Da quel fiso pensier, che la tormenta.
ACRISIO il Tosco, à Coridon salute.
Da quella parte appunto
Oime, tu vieni, ò carta,
Da quella parte appunto ove dimora
Del mio bramato dì la bella Aurora.
Fia che tù legga in questi pochi versi,
Che furo (ò Coridone) amaramente
Di pianto oime, più che d’inchiostro aspersi,
De la più bella donna il fin dolente,
Che mai spiegasse al Sol le chiome d’oro,
Dal freddo Scita, all’Etiopo ardente.
Un Angelo parea del sommo choro,
O’ Primavera almen, quando rimena
Con man fiorita il luminoso Toro.
Era di quella Età, ch’è più ripiena
Di dolcezza, e piacer, c’haver non suole
Altro martir che l’amorosa pena.
A’ le vaghe d’Amor fattezze sole,
Novo ciel di beltà dir si potea,
Cinthia havendo nel sen, ne gl’occhi il Sole.
Anzi co i raggi illustri ella valea,
Quel che può Amor con la sua ardente face,
E con un guardo ogni fredd’alma ardea.
Costei d’alta virtù fiamma vivace,
Lasciato il mondo immondo allegra gode
Cittadina del Ciel tranquilla pace.
Ond’ora per l’Etruria altro non s’ode,
Che dar lingue dogliose in bassi accenti
Hora al volto, hora al crin dovuta lode.
Ahi mentre ne l’aprir gli occhi ridenti
Questa d’alma beltà Fenice vera,
Inamorava il cielo e gli Elementi.
Doglia pur troppo impetuosa, e fera
Con violenza il bianco petto assalse,
Che de i Dardi d’Amor segno sol era.
L’industria non giovò, l’arte non valse,
Che vinto ogni rimedio in uno istante
Con altrui duolo il rio dolor prevalse.
Tal ch’ella agonizando ed in sembiante
Dirimirare il cielo essalò intanto
Fra un angelico stuol l’anima amante.
Sò che brami sapere il nome tanto
Famoso già de l’infelice, e bella,
Che trasse altrui da gli occhi, un mar di pianto.
Sappi (ò mio Coridon) ch’è Florigella.
O’ sfortunata voce
Che mi trappassi il core, e non m’ancidi.
Qual funesto argumento
Di Tragedia impensata hor mi dispieghi?
O’ Florigella, ò vita,
De la mia stanca vita;
O’ Florigella, ò core
Del mio traffitto core.
Tù sei morta, ed io vivo?
E vivo ahi lasso, e spiro
Sconsolato Fileno, e con qual alma,
Se tù ch’estinta ghiaci,
Di questo petto, ahi rimembranza amara,
Eri l’amato cor, l’anima cara?
Con qual fiato respiro
Se quella rosea bocca
De le dolcezze mie purpurea Conca,
Con atto humile, e pio
Spirò lo spirto mio?
E pur de l’alma, e de lo spirto privo
Il mio dolor fammi sentir ch’io vivo.
Elp.
Consolati Fileno,
Ne disturbar co ’l pianto
La sua tranquillità, poscia che è gita
Nel sen di Giove à più felice vita.
Fil.
Non sospiro il suo ben, piango il mio danno.
O’ per me sfortunato
Giorno, ch’io ti lasciai
Florigella mio core,
Per non vederti mai.
Almen, deh foss’io stato
Spettator lagrimoso
Di sì duro accidente,
Che dal tuo amaro occaso
Fora sorto il natal de la mia morte;
E da quei chiari lumi
Da un’eterna caligine velati,
Havrian queste mie luci
Forse appreso il serrarsi eternamente
A le vaghezze transitorie, e vane,
Del Mondo lusinghiero;
Almen potuto havessi
Chiuder con man di ghiaccio
Le porte orientali
De i tuoi già spenti soli;
Che nel horrore immenso
Di cosi tetra notte
Havrei perduto il giorno,
Seguitando veloce,
Per la medesma via
Con la mesta alma mia, l’anima mia.
Almen dati havess’io,
Gli ultimi, e freddi baci
A’ quelle vaghe labbra,
Già fresche rose, hor pallide viole.
Che per dolore estremo
De le morte dolcezze,
Anch’io spirato havrei
Con un freddo sospiro
In quella bocca amata
L’anima tormentata.
Ma poi che oime, disgiunse,
Duro ò fiero destin l’afflitte salme,
Morte congiunga l’alme;
E’ quel che già ci tolse
Perversità del Mondo,
Eternamente ahi renda
A’ l’alme innamorate
Là ne i campi del riso,
Benignità del Cielo.
Dunque mori Filen, corri à la morte,
Che con quest’atto solo
Apri il varco à le gioie,
Chiudi il passo à le noie:
Cosi vuol Florigella;
Cosi chiede il tuo duolo;
Cosi dichiara il Fato,
Eccone la sentenza in questa carta;
Che inaspettatamente
Con invisibil mano
T’appresentò la sorte;
Carta, funebre carta,
L’esca ben sarai tù con cui s’accenda
Quel fuoco, ond’arder vuole
Per memoria honorata
Del ben nome di lei, cui morta honoro,
Holocausto d’amore
Ne l’altar del mio sen fido e costante
Lo svenato desio del core amante.
Elp.
Come parte, e mi lascia
Senza pur dirmi à Dio;
Infelice Filen, vuo seguitarlo
Con frettoloso corso,
Ch’un affannato cor non hà discorso.