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Silvio Pellico
Il Poeta
Et stare fecit cantores contra altare.
(Eccli. 47. 11).
Perchè data m’hai questa ineffabile
Sete di canto?
Perchè poni tu in me questi palpiti
Ricchi d’amor?
— Questi doni a te fo perchè basso
Non t’alletti nocevole incanto;
Perchè vago del bello più santo,
A tal bello tu spinga altri cor.
— Io t’ammiro, ed ahi! quelle mi mancano
Voci stupende,
Che dir ponno quai movi nell’anima
Alti desir.
— Non ambir le pompose loquele,
Che la turba volgar non intende:
Il Vangel che rapisce ed accende,
Par d’ingenuo fanciullo il sospir.
— Del possente Manzoni l’energico
Inno a te vola:
Io versar solo gemiti e lagrime
Posso a’ tuoi piè.
— L’alto carme ispirai d’Isaia,
Ma pur d’Amos la rozza parola
Ogni labbro sublima, consola,
Se gli umani richiama ver me.
— Il tuo nome cantando alla patria,
Quali degg’io
Fra tue grazie e bellezze moltiplici
Più memorar?
— Dille ch’io per amor la fei bella,
Dille ch’amo, ed affetti desìo:
S’invaghisca del grande amor mio;
Mia beltà, mia natura è d’amar!
— Ma non denno terribili fremere
Gl’incliti vati,
Imprecando, schernendo degl’improbi
Opre e pensier?
— Rei pensieri e mal opre dannando,
Sieno i carmi a speranza temprati:
Sii pietoso anco a’ petti ingannati:
Col furor non si suscita il ver.
— Da più secoli squarciano Italia
Parti luttanti;
Fa ch’io retto impostori e magnanimi
Scerna fra lor.
— Del Vangel l’amantissimo spirto
Luce sia a tua ragione, a’ tuoi canti:
Spirar dèi l’amor patrio de’ Santi,
Ch’è bontà, sacrificio ed onor.