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Silvio Pellico
Saluzzo
Et sit splendor Domini Dei nostri
super nos.
(Ps. 89. 17).
Oh di Saluzzo antiche, amate mura!
Oh città, dove a riso apersi io prima
Il core e a lutto e a speme ed a paura!
Oh dolci colli! Oh mäestosa cima
Del monte Viso, cui da lunge ammira
La subalpina, immensa valle opima!
Oh come nuovamente or su te gira
Lieti sguardi, Saluzzo, il ciglio mio,
E sacri affetti l’äer tuo m’ispira!
Nelle sembianze del terren natìo
V’è un potere indicibil che raccende
Ogni ricordo, ogni desir più pio.
So che spiagge, quai siansi, inclite rende
Più d’un merto söave a chi vi nacque,
E bella è patria pur fra balze orrende;
Ma nessuna di grazia armonìa tacque,
O Saluzzo, in tue rocce e in tue colline,
E ne’ tuoi campi e in tue purissim’acque.
Ogni spirto gentil che peregrine
A piè di queste nostre Alpi si sente
Letizïar da fantasie divine.
Sovra il tuo Carlo, e il dotto suo parente1,
Che pii vergaron le memorie avite,
Spanda grazia immortal l’Onnipossente!
Dolce è saper che di non pigre vite
Progenie siamo, e qui tenzone e regno
Fu d’alme da amor patrio ingentilite.
Più d’un estero suol di canti degno
Porse a mie luci attonite dolcezza,
E alti pensieri mi parlò all’ingegno:
Ma tu mi parli al cor con tenerezza,
Qual madre che portommi infra sue braccia,
E sul cui sen dormito ho in fanciullezza.
Ben è ver che stampata ho breve traccia
Teco, o Saluzzo, e il dì ch’io ti lasciai
A noi già lontanissimo s’affaccia.
Pargoletto ancor m’era, e mi strappai
Non senza ambascia da tue dolci sponde,
E, diviso da te, più t’apprezzai.
Perocchè più la lontananza asconde
D’amata cosa i men leggiadri aspetti,
E più forte magìa sul bello infonde.
Felice terra a me parea d’eletti
La terra di mio Padre, e mi parea
Altrove meno amanti essere i petti.
E mi sovvien ch’io mai non m’assidea
Sui ginocchi paterni così pago,
Come quando tuoi vanti ei mi dicea.
In me ingrandiasi ogni tua bella imago;
Del nome saluzzese io insuperbiva;
Di portarlo con laude io crescea vago.
E degl’illustri ingegni tuoi gioiva,
E numerarli mi piacea, pensando
Che in me d’onor tu non andresti priva.
Vennemi quel pensiero accompagnando
Oltre i giorni infantili, allor che trassi
Al di là delle care Alpi angosciando.
Nè t’obblïai, Saluzzo, allor che i passi
All’Itale contrade io riportava,
Benchè in tue mura il capo io non posassi.
Chè il bacio de’ parenti m’aspettava
Nella città ch’è in Lombardia regina,
E colà con anelito io volava.
E colà vissi, e colsi la divina
Fronde al suon di quel plauso generoso,
Che premia, e inebbria, e suscita, e strascina.
Oh Saluzzo! al mio giubilo orgoglioso
Pe’ coronati miei tragici versi,
Tua memoria aggiungea gaudio nascoso.
Oh quante volte allor che in me conversi
Fulser gli occhi indulgenti del Lombardo,
E spirti egregi ad onorarmi fersi,
Ridissi a me con palpito gagliardo
La saluzzese cuna, e mi ridissi
Che grata a me rivolto avresti il guardo!
E poi che in ogni Itala riva udissi
Mentovar la mia scena innamorata,
Ed ai mesti Aristarchi io sopravvissi,
L’aura vana, che fama era nomata,
Pareami gran tesor, ma vieppiù bello
Perchè a te gioia ne sarìa tornata.
Mie mille ardenti vanità un flagello
Orribile di Dio ratto deluse,
E negra carcer mi divenne ostello.
Non più sorriso d’immortali Muse!
Non più suono di plausi! e tutte vie
A crescente rinomo indi precluse!
Ma conforti reconditi alle mie
Tristezze pur il Ciel mescolar volle,
E il cor balzommi a rimembranze pie.
Del captivo l’afflitta alma s’estolle
A vita di pensier, che in qualche guisa
Il compensa di quanto uomo gli tolle.
E quella vita di pensier, divisa
Era le non molte più dilette cose,
Ora è tormento ed ora imparadisa.
Io fra tai mura tetre e dolorose
Pregava, e amava, e sentìa desto il raggio
Del pöetar, che il cielo entro me pose.
Miei carmi erano amor, prece, e coraggio;
E fra le brame ch’esprimeano, v’era
Ch’essi alla cuna mia fossero omaggio.
Io alla rozza, ma buona alma straniera
Del carcerier pingea miei patrii monti,
E allor sua faccia apparìa men severa.
E m’esultava il sen, quando con pronti
Impeti d’amistà quel torvo sgherro
Commosso si mostrava a’ miei racconti.
Pace allo spirto suo, che in mezzo al ferro
Umanità serbava! A lui di certo
Debbo s’io vivo, e a’ lidi miei m’atterro.
Morto o insanito io fora in quel deserto,
Se confortato non m’avesse un core
Nato di donna, e a caritade aperto.
Scevra quasi or mia vita è di dolore,
Ad Italia renduto e a’ natii poggi,
Ov’alte m’attendean prove d’amore.
Benedetti color, che dolci appoggi
Mi fur nell’infortunio, e benedetti
Color, che mia letizia addoppian oggi!
E benedetta l’ora in che sedetti,
Saluzzo mia, di novo entro tue sale,
E strinsi a me concittadini petti!
Non vana mai su te protenda l’ale
Quell’Angiol, cui tuo scampo Iddio commise,
Sì che nobil sia cosa in te il mortale!
L’alme de’ figli tuoi non sien divise
Da fraterna discordia, e mai le pene
Dell’infelice qui non sien derise!
Le città circondanti ergan serene
Lor pupille su te, siccome a suora
Ch’orme incolpate a lor dinanzi tiene.
E le lontane madri amin che nuora
Vergin ne venga di Saluzzo, e questa
Abbian figliuola reverente ognora;
E la straniera vergin, che fu chiesta
Da garzon saluzzese, in cor sorrida
Come a lampo di grazia manifesta!
Pera ogni spirto vil, se in te s’annida!
Vi regni indol pietosa ed elegante,
E magnanimo ardire, e amistà fida!
Mai non cessino in te fantasìe sante,
Che in dottrina gareggino, e sien luce
A chi del bello, a chi del vero è amante;
E del saver tra’ figli tuoi sia duce
Non maligna arroganza, invereconda,
Ma quella fè che ad ogni bene induce;
Quella fede che agli uomini feconda
Le mentali potenze, a lor dicendo,
Ch’uom non solo è dappiù di belva immonda,
Ma può farsi divin, virtù seguendo!
Ma dee farsi divino, o di viltate
L’involve eterno sentimento orrendo!
Tai son le preci che per te innalzate
Da me son oggi, e sempre, o suol nativo:
Breve soggiorno or fo in tue mura amate,
Ma, dovunque io m’aggiri, appo te vivo!
Note
1. Carlo Muletti, e Delfino suo padre, Storici di Saluzzo.
— Io m’onoro dell’amicizia di Carlo, e parimente di quella del Maggiore Felice, suo fratello.