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Silvio Pellico
I Secoli
Militia est vita hominis super terram.
(Job. 7).
Vidi un’età delle sue forze altera,
E questa rifulgea dal greco lido:
Superava i famosi
Secoli che brillàr per altre sponde;
Ed oltre ad immortal virtù guerriera,
Sparsa per Asia d’Alessandro al grido,
La irruzïon de’ ladri generosi
Impromettea alle genti fremebonde
Sotto a’ vincenti brandi
Novi di civiltà raggi ammirandi.
Voce per ogni parte era d’Achivi:
« Noi chiama Giove a illuminar la terra!
Al nostro Omer, ch’è luce
Prima alle menti, succedean tai vati,
Onde a fiotti emanàr del bello i rivi;
E, perchè il sommo Bel tutti rinserra
Sensi gentili e sapïenza adduce,
Gli Apelle e i Fidia in queste aure son nati,
E Plato e gli altri mille,
Che poste ne’ misteri han le pupille ».
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Gloria, sì, coronò le Achee pendici;
Ma del grande Alessandro il trono cadde,
E le barbare genti
Contro il superbo eroe mosse a disdegno,
Dell’alto crollo si stimàr felici;
Poi d’arti e di saver Grecia decadde,
Sì ch’alle scuole sue contraddicenti
Chi recava di lumi avido ingegno,
Sol v’imparava come
Darsi del ver possa a menzogna il nome.
Vidi un’età delle sue forze altera,
E sfavillava questa in Campidoglio;
Scherniva i preceduti
Secoli, che dall’uom sommi fur detti.
Tutto cedeva all’aquila guerriera
Che ad ogni eccelsa meta ergea l’orgoglio.
Sul Tebro convenìan co’ lor tributi
Della terra i più splendidi intelletti,
Ogni altro core umano
Dovea spezzarsi o diventar Romano.
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Latina voce in tutte aure s’udìa:
« Noi siam chiamati a spegner l’ignoranza
Che dagli antichi tempi
Le varie schiatte de’ parlanti regge;
Noi soli alzar possiam tal monarchia
Che abbracci il mondo e il forzi a fratellanza,
Che per ogni contrada atterri gli empi,
Che in loco di furor ponga la legge;
Filosofia fanciulla
Vagì sinor, noi la traggiam di culla ».
Gloria brillò sul Tebro incomparata;
Ma i gagliardi imperanti all’universo
D’onor si dispogliaro,
E dier lo scettro a destre parricide:
La immensa monarchia fu lacerata,
E da’ suoi prodi eserciti converso
Contro agli Augusti suoi venne l’acciaro,
E più stolto di pria l’orbe si vide:
Gara di colti e rozzi
Furon morte, perfidia e gaudii sozzi.
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Vidi un’età delle sue forze altera,
E dava di sè mostra in varie sedi:
I popoli che oppressi
Avea di Roma il gigantesco ardire,
Veggendo vacillar l’alta guerriera,
Di sue virtù si dissero gli eredi:
Fiato alle trombe in venti regni diessi,
E tutti ardendo di terribili ire
Giuràr pei nobili avi
Che a Roma guasta non sarìano schiavi.
Voce sonò di barbare coorti:
« Noi chiama il cielo a restaurar giustizia,
Chè ne mentì il Romano
Impromettendo civiltà e diritti;
De’ mortali tradite eran le sorti
Per satollar di pochi l’avarizia;
Tutti scettri afferrar non de’ una mano;
Tutti i popoli denno essere invitti!
Oggi infiacchisce Roma,
Si punisca, a lei spetta oggi esser doma! »
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Gloria sorrise a’ Vandali ed a’ Goti,
Ma fu gloria di spirti usi a furore:
Distrussero un Impero
Che ad un sol giogo i popoli astringea,
E ferrei gioghi imposero a’ nepoti:
De’ vizi inorridirono al fetore,
Onde il Tebro appestava il mondo intero;
Ma gentilezza insiem credetter rea,
E contro a lei pugnando
Disonoràr l’insuperato brando.
Vidi un’età delle sue forze altera,
E diè prima in Sïonne il maggior raggio:
Fu virtù combattuta
Sotto Romani e Barbari, e s’estese,
Non per astuzia o gagliardìa guerriera,
Ma per novo in patir, santo coraggio.
Fra dileggi e patiboli cresciuta,
Perdonando a’ carnefici, li prese:
Scandalezzava in pria,
Poi volgari ed eccelse alme rapìa.
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Voce allor di Cristiani empì le terre:
« Noi Dio sospinge a debellar gli errori!
Finor saggezza umana
Tentò regger le sorti, e fu delirio:
L’uom dalle colpe è dissennato, e scerre
Non può di verità gli alti splendori,
Se da superbia il cor non allontana,
Se nol consacra ad umiltà e martirio.
Or che la Croce splende,
A vera civiltà l’uomo trascende ».
Gloria inaudita a’ battezzati fulse,
E perocchè d’Iddio quest’era l’opra,
Se fidi al suo Vangelo
Fosser vissuti i popoli redenti,
State sarian tutte ingiustizie espulse.
Sàtana accinto a volger sottossopra
La indestruttibil via che guida al ciclo,
Seminò scismi ed odio infra i credenti;
Onta il fellon ne colse,
Ma pure in novi lutti il mondo avvolse.
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Vidi un’età delle sue forze altera:
Il successor di Piero e Carlo Magno
Destra si dier fraterna,
Come agli antichi di Mosè ed Aronne,
Sì che il Monarca a sua virtù guerriera
Visibilmente avesse Iddio compagno:
Così doppiata la possanza alterna,
Frenaro il vizio e umanità esultonne:
Parea che mai contesa
Più nascer non potrìa fra Trono e Chiesa.
Voce allor si levò d’Itali e Franchi:
« L’atterrata da’ barbari è risorta
Imperïal tutela,
Ed or che dagli altari è benedetta,
Fia che i mortali a civiltà n’affranchi.
Or ogni studio a sapïenza è scorta,
Tutti or nobilitar la legge anela,
Bandire anela schiavitù e vendetta:
La prima volta è questa
Che il trionfo del ver più non s’arresta! »
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Gloria abbellì di Carlo Magno i fatti,
Ma sceso nel sepolcro, ebbe seguaci
Di men gagliardo ingegno:
Trono e Chiesa s’urtàr, si combattero,
E da scandalo uscìr follie e misfatti:
Nocquero a verità studi fallaci,
Città e castella fur nemiche al regno;
Libero sir divenne il masnadiero;
E, franti i gioghi spesso,
Piansene il popol da licenza oppresso.
Vidi un’età delle sue forze altera,
Allorchè il Saracin recò dispregi
Su tutti d’Asia i liti,
E destò in Occidente ira e temenza.
Ecco tacer le gare, ecco guerriera
Fraternità fra i battezzati Regi:
Ecco d’Europa i volghi rïuniti:
Ecco mille poteri una potenza
Scuote, strascina, incanta:
Tutti soldati son di Roma santa.
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Voce s’alzò di folte osti crociate:
« Ciò che saputo oprar non avean gli avi,
Compiere è dato a noi!
L’alme cristiane da concordia alfine
A magnanima impresa suscitate
Più ludibrio non son d’affetti pravi.
Cristo ne scelse per campioni suoi,
E rimerto n’avrem palme divine:
Da noi frattanto il mondo
D’ogni impulso a giustizia andrà giocondo ».
Gloria i pro’ cavalieri ebber traendo
La tomba del Signor da giogo infame,
E grazie a’ loro acciari
Non invase anch’Europa il Mussulmano;
Ma in vile obblìo religïon ponendo,
Aprìro il core ad esecrande brame,
In rapina emulàr gli Arabi avari:
Volsero a lacerarsi invida mano:
Colpì i Crociati Iddio,
E in Asia lor possente orma sparìo.
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Vidi un’età delle sue forze altera,
E nell’Italo suol fulse più bella:
Non già poter di brandi
Sorse a magnificar la sua fortuna,
Sebbene ovunque ardesse ira guerriera:
Fu suo splendido pregio una novella
Ambizïon di studii venerandi:
Parve Italia con Dante uscir di cuna,
Indi Petrarca venne,
E la corona in Campidoglio ottenne.
Voce di qua dall’Alpe inclita alzossi:
« Di civiltà sepolta era la luce;
Ed or novellamente
Sulla terra la spargono le Muse:
L’idioma oggi vivo affratellossi
Agl’idïomi antichi, e si fa duce
Anco agl’infimi spiriti possente,
Sì ch’al ver tutte vie sono dischiuse;
Gli studii più non regge
Idolatrìa, ma del Vangel la legge ».
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Gloria il novo Parnaso ornò stupenda,
Nè più tutta disparve a’ dì futuri;
Ma non per ciò le vie
Da’ sommi ingegni al ver furono aperte:
In cor del volgo non oprossi ammenda;
Spirti v’ebbe più colti e più spergiuri:
Sul Parnaso salite anco le arpìe
Spesso di plauso e fiori andàr coverte,
E con immonda cetra
D’influssi rei contaminaron l’etra.
Vidi un’età delle sue forze altera,
E fra le sue venture una fu tale
Che nulla mai sì grande
Non pareva la terra aver lucrato,
Sebben non per real possa guerriera:
Tre savi industri (ond’un con infernale
Patto a scienze occulte, abbominande,
Esser dicea la turba inizïato)
L’arte inventaron, donde
Ratto il pensier si stampa e si diffonde.
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Voce sonò per l’Europee contrade:
« Incivilir mai non potean le genti
Finchè sì nobil arte
Non rapivano al cielo od all’inferno
I tre veggenti della nostra etade:
Or moltiplici fien tutti eccellenti
Frutti di verità, sì ch’ogni parte
Prosperi della terra, al cibo eterno;
Chè, s’error nasce ancora,
Tosto convien che vilipeso mora ».
Gloria sorrise all'immortal portento,
Onde crebbe ogni scritto a mille a mille;
Non più temuto danno
Fu il perir de' giovanti, aurei volumi:
Ma con sacre faville indi incremento
Trasser tante malefiche faville,
Che se qui il ver, là incensi ebbe l’inganno.
E fur cäosse ancor tenebre e lumi:
Dei tre veggenti forse
All’ombre irate il fatal don rimorse.
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Vidi un’età delle sue forze altera,
E l’uom che in lei saldissim’ orma impresse,
Fu il Ligure che volse
Su novello emisfer l'armi e la frode
Dell’ingorda europea stirpe guerriera:
Chiese ad Italia che colà il träesse
Promettendole un mondo, e spregi colse;
Mosse ad Ispania, e prore ottenne e lode;
Trovò i promessi regni,
E n’ebbe in guiderdon vincoli indegni.
Voce sublime alzàr d’Europa i liti:
« Questo fra tutti eventi è il benedetto,
Onde ignoranza cessa
Nella sparsa d’Adam grande famiglia!
Ambo emisferi dal battesmo uniti
Scola esser denno a incivilir perfetto:
Chè se per or la nova gente è oppressa
Dall’invasor che a dirozzarla piglia,
Succederà al conflitto
Il trionfo dell’ara e del diritto ».
................
Gloria brillò sugli arbitri dell’acque;
Ma l’assalita rozza gente, invece
D’aver tutela amata
Negli ospiti arricchiti in quel terreno,
Parte ad orrenda tirannia soggiacque,
Parte in pugne e miserie si disfece:
Invidi per la terra conquistata
I vincitori si squarciaro il seno:
Il novo mondo e il vecchio
Fur di colpe e sciagure alterno specchio.
Vidi un’età delle sue forze altera,
E il decimo Leon ne andò festoso,
Intorno ad esso egregi
Cotanti fur di civiltà i cultori.
Oltremonti ferveano ira guerriera
E furibondo zel religïoso,
Sì che Roma schernìan popoli e regi;
Ma ad onta delle guerre e degli errori,
Di belle arti reìna
Anzi al mondo brillò Roma divina.
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Voce tonò fra i nobili intelletti;
« Questo è il secol fecondo, in cui gagliarde
E fantasìa e ragione
Le lor potenze spiegano a vicenda;
Destano, è ver, gli spirti maledetti
Nuove eresìe, ma vieppiù fervid’arde
Zelo di verità nella tenzone,
E fìa che pel Concilio indi più splenda:
Per queste grandi lutte
Le insorte larve sperderansi tutte ».
Gloria su quell’età fulse immortale;
Ma nè per la gentil magìa de’ carmi,
Nè pei dipinti insigni,
Nè per più gravi studi, e nè pel forte
Dato da’ santi di virtù segnale,
Non s’antepose caritade all’armi,
Non s’ambiron costumi alti e benigni;
Chè di superbia sempre le ritorte
Scevràr dai pochi buoni
La turba degli stolti e de’ ladroni.
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Vidi un’età delle sue forze altera,
Che di filosofia luce si disse:
Garrì coi re, coll’are,
Supplizi eresse, e libertate offrìo;
Indi men rea si fece, e più guerriera,
Ed adorò il mortal che più l’afflisse;
Poi veggendo crollato il Luminare,
A somme altre fortune alzò il desìo;
Sempre mutava insegna,
Giurando inalberar la più condegna.
Voce sonava in gallica favella,
E le favelle tutte eco le fero:
« Squarciato il velo abbiamo,
Che per gran tempo de’ cristiani al ciglio
Celò del ver la salutar facella!
Ripigliam de’ pagani il bel sentiero;
Forza, piacere, astuzia idolatriamo;
Sia vilipeso di pietà il consiglio;
Così l’umana polve
Sostien suoi dritti, e da viltà si svolve ».
................
Gloria di brandi e di scïenze e d’arti
Cinse allor la fatal razza europea,
Ma non s’udì che i petti
Fosser men crudi che all’età trascorse:
Vivi lampi emanàr da tutte parti,
E folta nebbia pur vi si mescea;
E spesso i furti eccelse opre fur detti,
E il parricida a mieter laudi sorse;
E senza amici il giusto
Vivea schernito, e di calunnie onusto.
Io vidi i tempi, e mesto allor sorrisi
Dell’uman replicato, allegro vanto,
Che ai posteri s’appresti
Carco minor di guerra e di perfidia:
Dacchè del sangue del fratello intrisi
I passi di Cäin furo e di pianto,
La famiglia mortal sempre funesti
Nutre germogli di fraterna invidia:
Mutan le usanze, e ognora
Convien che Abel gema, perdoni e mora.
................
Orrenda è storia, e sarà sempre orrenda
Questa milizia della umana vita,
Tal che lo stesso Iddio
Fattosi a noi fratel, fu strazïato!
Inorridiam, ma non viltà ci prenda:
Possente è umanità, benchè punita;
La regge quel Divin che a lei s’unìo!
Il figlio della creta è al duol dannato,
Ma la terribil prova,
S’egli ambisce il trionfo, a dargliel giova.
Non qui, non qui il trionfo inter! — ma pure
Qui già comincia lo splendor de’ giusti!
Patiscon danni e morte,
E il maligno sprezzarli indi s’infinge.
Ei chiama lor virtù volgari e scure;
Vorrìa che i rei fosser di laudi onusti;
Ma tutte coscïenze un grido forte
Son costrette ad alzar (Dio le costringe):
« Falsa è, Cäin, tua gloria,
Il grande è Abel, d’Abello è la vittoria! »