Edizione Italiana
    Library / Literary Works

    Vittoria Aganoor

    Silenzio

    Ei viene. In un istante
    ogni suono è caduto;
    viene con passo muto
    della notte l’amante.

    Di stelle una corona
    sul capo egli le allaccia:
    apre le immense braccia
    e tutta ella si dona.

    Non parole interrotte,
    non gemiti d’amore
    ode dal suo signore
    nell’estasi la Notte;

    ma ben per lei, che sola
    ne intende il dolce senso,
    egli canta un immenso
    inno senza parola: -

    "Ho mille regni, o mia
    unica, e tutta io voglio
    pel mio supremo orgoglio
    dirtene la magìa.

    Vedi? Dei sogni aperti
    al taciturno volo
    son miei l’algente polo
    e i torridi deserti;

    mie le città suberbe
    che strusse la divina
    ira; quella ruina
    veston licheni ed erbe;

    tra i portici dipinti
    s’aggira il gufo, assale
    l’erica sepolcrale
    delle colonne i plinti,

    e lesto il mandriano
    per quelle vie passando
    zufola sogguardando
    ed agita la mano.

    Ma solo, io solo, il forte
    palpito ancora ascolto
    del popolo sepolto
    sotto le città morte,

    e solo intera io sento
    la bellezza suprema
    dell’edera che trema
    sugli archi eccelsi al vento." -
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    *

    La Notte ascolta, immersa
    nel sogno, e il modo tace.
    Ma occulta, nella pace
    come un’onda si versa

    continua, da ignote
    polle in marine ascose
    recando delle cose
    al silenzio devote

    la parola segreta;
    l’inno senza parola
    che tutto intende sola
    l’anima del poeta.

    *

    "Io sono l’Alba e t’amo.
    Per te le gemme io sento
    schiudersi, e il succo, lento
    salir dai ceppi al ramo.

    Mentre gli uccelli a festa
    scoton l’ali, la spira
    snoda il serpe, e sospira
    il dolor che si desta,

    odo l’Alpi d’intorno
    dir nell’alto a lontani
    culmini di vulcani:
    - Ancora un altro giorno! -

    E al mar che flagellando
    le va, senza potere
    sbramarsi, le scogliere
    chiedere: - Fino a quando? -

    *

    Noi siamo le foreste,
    le foreste che degni
    eleggere a’ tuoi regni
    nelle segrete feste.

    La tua malìa, sognanti
    ci tiene in un’attesa
    di prodigi, un’attesa
    di fantasmi giganti;

    e ben tornano a noi
    nelle tranquille sere
    l’ombre dolci e severe
    dei santi e degli eroi...

    Passano: è quei che cieco
    morì, ma dei pianeti
    i viaggi segreti
    spiò, vegliando teco.

    È quel meditabondo
    spirito di veggente
    che ad una ingrata gente
    dischiuse un novo mondo.

    È il tuo devoto, il forte
    Ghibellin fuggitivo,
    che potè scender vivo
    ai regni della Morte...

    Passano: agli alti veri
    cui tendevano, solo
    tu dirizzasti il volo
    degli erranti pensieri.

    *

    Il cor dice: - "O figliuolo
    d’Iside, tu nell’ore
    del supremo dolore
    solo m’intendi, solo

    mi sei rifugio; e quando
    l’offesa eccede, e invano
    ad un accento umano
    la riscossa domando,

    tu, muto Iddio, che sdegni
    l’onta che non ti tocca,
    col dito sulla bocca
    la rampogna m’insegni." -
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Tutte le cose in sordi
    bisbigli d’aromali
    atomi, e ritmi d’ali,
    ripetono concordi:

    - "Tu, che schiudi le porte
    dei fantasmi ai poeti,
    tu, che certo i segreti
    conosci della Morte;

    tu che imperi a le belle
    feste dell’Alba e tieni
    in tuo giogo i sereni
    pelaghi de le stelle;

    non mai, non mai sian rotte
    le magìe del tuo regno,
    o grande, o solo degno
    amante della Notte!" -
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Va il coro di segrete
    voci senza parola
    e, in mille forme, sola
    una lode ripete;

    va, come una profonda
    fiumana, a ignota foce,
    tranquillo, con la voce
    monotona dell’onda...




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