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Vittorio Alfieri
Parigi sbastigliato
Populum exactores sui spoliaverunt, et mulieres dominatæ sunt eis.
ISAIA, CAP. III, VERS. 12.
INTRODUZIONE.
ALTI-SONANTE imperïosa tromba
Posta s’è a bocca una feroce Diva;
Necessità, che a render prode arriva
La stessa pavidissima colomba:
Ecco, al forte squillar, da un’ampia tomba
Repente uscir la turba rediviva,
Che ben trenta e più lustri ivi dormiva;
E il suo libero dir già al ciel rimbomba.
Deh! se intera la Gallia, onde voi sete
Il nobil fior, pietade in sen vi desta,
Sommerse omai sian le discordie in Lete!
Popol, Patrizj, Sacerdoti, è questa
La via, per cui quel sacro allor si miete,
Che il ben d’ogni uom nel ben di tutti innesta.
PARIGI SBASTIGLIATO.
ODE.
ALL’ARMI, all’armi, un generoso grido
Fa rintronar di Senna ambe le rive:
All’armi, all’armi, eccheggia
Francia intera dall’uno all’altro lido.
Forse fia che dell’Anglo ampia oste arrive?
No: dalla infame reggia,
Di tradimenti e di viltade nido,
Sotto ammanto di pace esce l’atroce
Seme di guerra. Ecco, al macello il segno
Dal capitano indegno
Aspettar la masnada empia feroce,
Che alla immensa cittade intorno accampa.
Svizzera compra carne al regio sdegno
Tacita serve; e, qual ferale vampa,
Pregna di stragi stassi.
Ahi nube orrenda d’esecrati sgherri!
Fia che il popol ti lassi
Ber del suo sangue, e al tuo ferir si atterri?
II.
Ma, da ben altra immortal reggia scende
Sovra l’ali dei Fati, in atto altera,
(Bella e terribil Dea)
Libertà, che da Palla ottien le orrende
Gorgonee serpi, onde la turba fera,
Cui già il terror vincea,
Freddo immobile sasso inutil rende.
Sacra Diva, che il vile empio di corte
D’un guardo annulli, e il cittadino allumi
Di fiamma tal, che ai Numi
Si estima ei pari; ad affrontar la morte
Per la patria verace, o Dea, tu traggi,
Tu sola, a sparger di lor sangue fiumi,
Le magnanime Guardie, in cui tuoi raggi
Tanto penétri addentro,
Che non più Guardie del comun nemico,
Ma di Parigi al centro
Franche Guardie si fanno al Franco amico.
III.
Invisibil così pendea sospeso
E su le umíli e su le eccelse teste,
Con la rovente spada,
L’Angel di morte, anch’ei d’orror compreso.
Dato è il segnal: la cortigiana peste,
Fa sì che in bando vada
L’uom che sol regge or dello stato al peso;
L’uom, che libero nato in strania terra,
Servo in Gallia ed in corte a far si venne,
Sol per tor la bipenne
Di man de’ rei, che a scellerata guerra,
Vilmente arditi contra il volgo inerme,
L’adopran sì, che n’è il servir perenne. ―
Ahi stolte al par che inique menti inferme!
Perchè i raggiri impuri
Vostri abbian dato ad un tant’uomo il bando,
Sperate voi securi
Starvi omai dietro al mercenario brando?
IV.
Quali urla sento? infra l’orror di negra
Notte feral, quai torbe incese tede
Correr ricorrer veggio?
In men ch’io il dico, ampia cittade intégra
Sossopra è volta; ogni uom vendetta chiede;
E il differirla è il peggio.
Spade, aste, ogni arme, impugnan tutti; ed egra
Alma non v’ha, ch’elmo rimembri o scudo.
Andar, venire, interrogar; giurarsi
Scambievol fe; mostrarsi
A gara ognun d’ogni temenza ignudo;
Rintracciar l’orme del tedesco gregge,
Sovr’esso a furia indomiti scagliarsi,
Altri svenarne, altri fugarne, e legge
A tutti imporre; è un punto.
Pria che in ciel la seconda alba sia sorta,
E che al confin sia giunto
L’esul ministro, è tirannia già morta.
V.
Oltre l’usato il Sol sereno sorge
A rischiarar queste beate spiagge;
E spettacol sublime,
Agli occhi miei sì desiato, porge.
Con bella antiqua mescolanza, in sagge
Torme, uno stuolo imprime
Rispetto, in cui la securtà risorge.
Rimiro io fatti i cittadin soldati;
E più strano miracolo ai dì nostri
Fia che in un mi si mostri,
Nei regj sgherri a cittadin tornati.
Già insieme tutti, a calda prova ognuno,
Gl’impotenti sfidaro aulici mostri. ―
Ma, se matrona non si veste a bruno,
Dei satelliti soli
Non basta il sangue a rammollir lo scettro;
Nè fia che in corte voli
Terror, se non vi appar nobile spettro.
VI.
Loco è in Parigi che in Inferno avria
Pregio più assai: detto è BASTIGLIA; e dirsi
Me’ dovria Malebolge.
Ampia profonda fossa, ond’è ogni via
Intercetta all’entrar come al fuggirsi,
Per ciascun lato il volge.
Quadro-turrita in mezzo erge la ria
Fronte una rocca di squallor dipinta:
Atro-bigio è il gran masso. Alta corona
D’empio bronzo che tuona,
Infra gli orridi merli al capo ha cinta:
Del piè sotterra s’incaverna il fondo
Più giù che il fosso, in parte ove non suona
Raggio più omai dell’abitato mondo:
Dalle esterne sue parti,
Fenestre no, ma taciti forami,
Radi nel sasso ed arti,
Barlume danno a quelle stanze infami.
VII.
Gemma è primiera del regal diadema
Questo albergo di pianto. A guardia un truce
Crociato carceriero
Stavvi, ripien di crudeltade e tema,
Che di monchi sicarj inutil duce,
Dirsi ardisce guerriero. ―
Nunzj a costui di volontà suprema
Dei vincitori cittadini, in lieto
E pacifico aspetto, ecco, son giunti.
Che indarno ei non impunti
Nel negar l’arme, il prega un sermon queto.
Altro da lui non vuolsi. All’aure il bianco
Segnal di pace, e i caldi preghi aggiunti,
Il rancor di costui dovrian far manco.
Blando, e mite, ei risponde;
Che a ciò s’inoltrin quetamente i pochi.
Giunti appena alle sponde,
Sovr’essi avventa il traditor suoi fuochi.
VIII.
Donde han mai l’ali? qual non visto Nume
Dei respinti al furore ali ministra
Ad inaudito volo?
Ecco sgorgare, impetuoso fiume,
Il gran popol da destra e da sinistra,
Irresistibil stuolo.
Leggieri più che ventilate piume,
Oltre al ponte primier varcati in frotta
Già stanno: ivi urti, e palle, ed urla, e morti,
E morenti, e risorti;
Null’uom sa il come; ecco allentata, e rotta
La catena che in alto ratteneva
L’ultimo ponte. ― Oh generosi, oh forti,
Voi che sovr’esso, che a stento cadeva,
D’audace slancio ascesi,
Primi sboccar nell’empia rocca ardiste! ―
Lor nomi indarno io chiesi,
Perchè il debito onore a lor si acquiste.
IX.
Ve’ scorrer già la vincitrice piena
Entro alle più riposte erme latébre
Del trionfato ostello:
Già il ferro ogni empio difensor vi svena;
Già dalle eterne orribili tenébre
Del lor carcere fello
Tratti sono alla pura aura serena
I prigionieri miseri innocenti.
Già già afferrato è il castellano iniquo,
Che dell’oprar suo obbliquo
Pagherà tosto il fio tra rei tormenti.
Preso esce già fra i cittadini, agli occhi
Del popol tutto, il condottiero antiquo;
Nè dardo avvien che incontro a lui si scocchi;
«Alle Gemonie,» grida
Sola una voce della plebe immensa,
Che con feroci strida
Vieppiù sempre dintorno a lui si addensa
X.
Cruda, ahi! ma forse necessaria insegna,
Vedeva io poi con gli occhi miei sua testa
Sovra lunga asta infissa
Ir per le vie: nè sola ell’è; che degna
Compagna un’altra, a quella orribil festa,
Le viene a paro: è scissa
Questa dal corpo d’uom, che invan s’ingegna,
Urban pretore, di far ire a vuoto
Dei cittadini la guerriera impresa:
E vilmente distesa
Sua tronca salma io ne vedea nel loto.
E i cittadin feri vedea, ma giusti,
L’alta vendetta lungamente attesa
Sperar compiuta in que’ scemati busti. ―
Ahi memorabil giorno!
Atroce, è ver; ma fin di tutte ambasce:
Di libertade adorno,
Fia questo il dì che vera Francia nasce.
XI.
Deh! con qual gioja alla sconfitta rocca
Io volgo il piè! Senza tremare, io passo
Dentro all’orrida soglia.
Già di pietade il core mi trabocca,
Solo in mirarmi attorno il negro sasso...
Or, quai voci alla doglia
Pari saran, se a me descriver tocca
I funesti pensieri, onde la vista
Dell’atre interne carceri mi aggrava?
Quì (dich’io) lagrimava,
D’arbitrario insanir vittima trista,
La intatta sempre-timida Innocenza,
Cui di sua man Calunnia conficcava.
Quì non si udia di giudice sentenza:
Quì due miseri carmi,
Veri, o supposti; e quì un sorriso, un guardo,
Un pensier, potean trarmi...
Oh di qual giusto alto furor tutt’ardo!
XII.
A terra, a terra, o scellerata mole;
Infranta cadi, arsa, spianata, in polve. —
A gara ogni uom l’assale;
A gara ogni uom spiccarne un sasso vuole,
E le fere compagini dissolve:
Sparita è già. — Ma, quale
Pompa diversa oggi rischiara il Sole
Nelle affollate parigine vie?
Ecco inerme e soletto il Franco Giove:
Ei di sua reggia muove,
Ripieno il cor di cittadine pie
Brame, in lui figlie di assoluto invito,
Che al venir gli vien fatto in fogge nuove.
Fiede il regale orecchio un non pria udito
Alto e libero EVVIVA,
Cui non più RE, ma NAZÏON, vi aggiunge
Quella sovrana Diva,
Che dai bruti il verace uomo disgiunge.
XIII.
Fra il nobil grido, il re procede intanto,
Da Franche armi non compre attornïato,
Ver la magione urbana.
Di duolo e gioja vario-misto un pianto,
Cui da pria ’l pentimento ha in lui destato,
D’ogni uom lo sdegno appiana.
Ma, d’ora in poi quello ingigliato ammanto,
E a chi ’l porta, e a chi ’l dona, assai men greve
(Spero) sarà. — Giunto è già il prence: ei giura,
Che la orribil congiura,
Ignota a lui, tutta imputar si deve
Ai traditor, che in duro error lo han tratto.
Pago è già il cittadin; già già secura
Torna del re la maestade, a patto
Meglio adequato omai:
Già espulsi ha gli empj, e richiamato ha il giusto:
Nè a re lo errar più mai
Concede il Nazional Consesso augusto.